Ombre

Ciao!
Sono Sofia, Toscana doc e studentessa a tempo pieno e probabilmente indeterminato; sono stata avviata al mondo dei GDR nel lontano 2009, in una land fantasy play by chat: da lì mi sono innamorata non solo della filosofia che sta dietro al gioco di ruolo ma anche alla scrittura.
Ora come ora sono una socia attiva dell’Associazione Camarilla Italia: qualcun altro ha già pubblicato qualcosa, ora è il mio turno.

L’idea di questa serie di articoli nasce da una domanda che spesso mi viene posta nelle varie fiere dove faccio promozione per l’associazione:

Ma cosa fate nei live?”

Eh. Bella domanda!
Tutto e niente. Non è facile dirlo con due parole…io cercherò di farlo con un racconto, soffermandomi ogni volta su Clan, Congreghe e aspetti diversi dell’ambientazione che conosco, ossia Vampire The Requiem.
In questo modo spero di far capire o interessare a questo mondo un futuro giocatore che non ha lo sbattimento di prendersi un manuale: cosa gli costa leggersi una storia?

Postilla: ci tengo a precisare che non ho seguito alla lettera i manuali, ma ho integrato anche elementi di pura invenzione e che i racconti sono autoconclusivi.

Buona lettura!
Sofia Starnai
http://www.camarillaitalia.com/

Lucca, 31 ottobre 2016

-Questa sera non ci saranno discussioni politiche! –

La voce dell’Arcivescovo di Firenze Leonardo de’ Ricci risuonava nella sala centrale di Villa Bottini, acuta e a tratti squillante, cercando di incutere timore nella folla che circondava ampiamente il Nosferatu, senza riuscirci.
Edoardo Borgia, che stava alle sue spalle insieme a tutti gli altri Santificati, guardò il suo superiore provando quasi pena.
Se non avesse avuto gli occhi dell’Inquisitrice puntati addosso probabilmente si sarebbe lasciato sfuggire un ghigno; la scena di per sé era troppo comica ma, d’altronde, ogni discorso serio dell’Arcivescovo lo era: un vampiro con chissà quanti anni alle spalle, occhi fumosi che avrebbero potuto congelare chiunque sul posto, tanto imponente quanto ripugnante e la voce di una ragazzina che ancora non ha avuto il suo primo ciclo.

Povero Arcivescovo, pensò, una non-vita destinato ad essere sfottuto e deriso alle spalle.

In fondo non rappresentava l’essenza stessa della danza macabra?
Essere e non essere.
Apparenze e realtà.
Lui, per esempio, in quel momento visto da fuori sarebbe potuto sembrare uno scialbo vampiro, giovane d’aspetto e nel sangue, abbracciato per pazzia e che adesso stava militando nella Lancea Sanctum per volere del suo Sire, ancora incapace di capire come funzionasse il mondo di tenebra.
Tutto vero, tranne per il fatto che, nonostante fosse rinato vampiro da poco meno di vent’anni, aveva ben chiare le dinamiche tra dannati e proprio per questo calibrava le sue azioni e le sue parole.
Per alcuni interveniva anche troppo per essere un Mekhet, un’Ombra nel Requiem di chiunque, lui invece credeva che starsene troppo in disparte fosse decisamente castrante per la sua personalità.
Lo sguardo dell’Inquisitrice tornò a pizzicargli la nuca e lui stavolta rispose all’occhiata, accennando un leggero sorriso di cortesia.
Lei inclinò il capo da un lato e mosse la lingua sulle labbra in un modo che aveva imparato a decifrare bene e che gli fece scappare il ghigno che stava trattenendo.
Non le era bastata la sua visitina in camera per tre notti di fila?

Diamine.

Tuttavia Edoardo sapeva bene che se avesse continuato a lavorarsela avrebbe potuto accedere a tutti gli affari del clan delle Succubi: già era a buon punto, non poteva permettersi di rovinare quell’aggancio.
Scrollò le spalle e fece un cenno all’Inquisitrice.
La osservò dileguarsi furtivamente dopo la fine del discorso del De’ Ricci, nella stanza alle sue spalle.
Aveva un abito lungo nero, aderente, con un profondo scollo che lasciava scoperta la schiena, che sapeva essere liscia come seta.
Sentì quasi un formicolio, come se stesse già toccando quella pelle.

Ma le Inquisitrici non dovrebbero essere esempi di moralità?

Sgusciò via dalla sala centrale qualche attimo dopo la scomparsa della donna:  voleva far vedere che lei aveva bisogno di lui.
Che poi, a dire il vero, Edoardo doveva reperire informazioni sui Daeva e lei era capitata proprio a soddisfare i suoi scopi, quando poi era riuscito a scoprire – non ci era voluto molto – che l’Inquisitrice avesse un certo “vizietto”, la salita si era trasformata in una piacevole discesa.
Quindi, di fatto, era più lui ad avere bisogno di lei, il suo unico vantaggio era stato l’aver sfruttato il punto debole della sua avversaria.

La trovò seduta in una stanzetta adiacente, con un dito si arricciava una ciocca di capelli e con l’altra mano si toglieva lentamente una scarpa, l’altra se la sfilò con un movimento dell’alluce contro il tallone.
Edoardo la guardò per qualche istante e pensò che effettivamente fosse una gran bella donna. Quanti anni aveva detto di avere? Settanta?
-Elena, cara – le disse mellifluo – Non credi che sia un po’ rischioso, con tutta questa gente? –
-Oh ma è questo il bello, il rischio! –

Maledetta ninfomane.

I suoi occhi rossastri serpeggiarono su di lui come saette.

-Non mi desideri più, forse? –
–Sia mai! –

Maledetta ninfomane e pure capricciosa!

Si allentò la cravatta e chiuse la porta alle sue spalle. Chissà, magari a questo giro gli avrebbe detto qualcosa sull’organizzazione interna del clan, o su nuove dinamiche tra lo Sforza di Milano e il Bentivoglio di Bologna: se non aveva capito male c’era dell’attrito tra quei due…
Mentre tendeva una mano verso Elena Barberini per attirarla a sé, Edoardo lanciò un’occhiata alla porta, saldamente chiusa dall’interno.

Cosa potrebbe mai farmi Ezio Borghese se sapesse che mi faccio sua moglie in ogni dove e in ogni modo?

Mah, forse quei due si erano sposati per questioni politiche, i matrimoni tra vampiri spesso nascevano e morivano così.
Ma se ci fosse stato dell’interesse, un residuo di amore?

Meglio non saperlo.

Lanciò un’altra occhiata alla porta e tornò ai capelli corvini di Elena e al collo ingioiellato da perle nere.

Meglio finire in fretta.

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Pochi coraggiosi stavano volteggiando nella stanza a passo di valzer, Tchaikovsky, un brano tratto dal Lago dei cigni, molto bello peraltro doveva ammetterlo: nonostante fosse lì in un angolo, immobile e granitica come una statua, ogni tanto socchiudeva gli occhi facendo ondeggiare il capo a tempo.

Un, due, tre, un, due, tre…

Il Notaio, quella fastidiosa sanguisuga dagli occhi piccoli e incassati, aveva il suo solito sorriso da imbecille mentre faceva ondeggiare una scontrosa Clarissa Farnese ,la quale, di tanto in tanto, gettava uno sguardo riluttante verso il padre per cercarvi una motivazione plausibile per sfuggire a quella tortura.

-Ma quindi i Ventrue sono capaci di ballare nonostante abbiano costantemente un palo in culo? –

Ettore Crisafi era al suo fianco, con un ampio sorriso sulla faccia.
Non si era nemmeno accorta che si fosse avvicinato e la cosa le dette un po’ fastidio, si era permessa di abbassare la guardia e ciò sarebbe dovuto succedere mai più; tuttavia non lo diede a vedere e fece un ghigno compiacente, replicando:

– Guardate, Ettore, come si muove il nostro Notaio: riesce pure ad andare a tempo e contemporaneamente non pestare i piedi alla Farnese. –
– Evidentemente gli insegneranno come coordinare i neuroni, alla corte degli Invincibili, oltre alle utilissime e praticissime norme di galateo e buon gusto. –
– Oh suvvia, cugino. Chi siamo noi per giudicare…voi del Movimento Carthiano, io un Dragone… –
– Terzo stato. Mph! –

Qualcuno si voltò in loro direzione, probabilmente attirato dal tono leggermente sopra le righe del Crisafi in battuta finale.
Lui, di rimando, lanciò a tutti una delle sue solite occhiatacce poco rassicuranti e tornò a parlarle a bassa voce:

– Te lo dico io, Samar, senza di noi starebbero col culo per terra. Tutti quanti. Status quo? Un par di palle! Eccolo, guarda! –

Allargò leggermente le braccia e indicò con un cenno della testa il resto della stanza. Lei lasciò aleggiare lo sguardo lungo la pista su cui ancora volteggiavano coppie coraggiose di Invincibili dai vestiti lussuosi fatti di drappeggi e gessati, mentre lungo le pareti, sedute o in piedi, stavano diverse figure intente a interloquire su chissà quali altolocati argomenti e, ogni tanto, compariva la figura sgraziata dell’Arcivescovo De’ Ricci, con la sua vocetta stridula che chiedeva:

– Mica state parlando di politica, eh? –

Ettore soffocò una risata e lei si unì, più composta e discreta.

Come se un ballo ci distogliesse da tutto il resto, pensò.
Probabilmente se fosse stata una nobile Invincibile, un’Eccellenza del Primo Stato, avrebbe apprezzato tutto quello sfarzo, quel gusto vagamente barocco del mobilio, le poltroncine di velluto rosso, le conversazioni futili e la svolazzante nullafacenza immobile che permeava le vite dannate di molti di coloro che vedeva lì dentro.
Peccato che fosse un Dragone e che, come tale, aveva ben altri interessi a riempire la sua danza macabra.
Crisafi incrociò le braccia e si appoggiò meglio alla parete per potersi avvicinare maggiormente e sussurrarle:

– A parte i discorsi su quanto faccia schifo il Primo Stato… dov’è il chierichetto? Non avevamo una certa cosetta da fare noi? –

Samar perlustrò attentamente la stanza e scosse la testa.
In effetti non aveva torto: dove diavolo si era cacciato Edoardo Borgia?

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– Non potremmo andarcene? Non voglio partecipare al Gran Ballo. –

Edoardo roteò gli occhi al cielo sincerandosi di non essere visto dall’Inquisitrice.

Certo, ci manca solo questa.

– Mia cara, non credo sia opportuno: nell’altra sala c’è vostro marito. –Uffa! –

La Daeva fece un movimento stizzoso delle braccia fino a incrociarle al petto. Lui, invece, era più intimorito che quell’acuto si fosse sentito dall’altra parte, anche se era abbastanza sicuro che la musica e il cicaleggio delle chiacchiere attutissero il rumoroso infantilismo della vampira.-

– Lo so, lo so. – le disse carezzandole le spalle – Ma dobbiamo calare la maschera, voi ed io. –

Io doppiamente, oserei dire.

– E poi che figura ci faremmo con l’Arcivescovo? Ha organizzato questo ballo per tenere fede alle tradizioni, andarsene significherebbe mancargli di rispetto. Inoltre, voi siete un’Inquisitrice: dovete presenziare, mica come me che sono un semplice Santificato… –
– Diventerete presto un cardinale. – mugugnò Elena – Magari a capo degli Esorcismi… –

E magari esorcizzo te, maledetta assatanata.

– Ne sarò senz’altro onorato e lieto, Elena. –

Uscì una decina di minuti dopo di lei, disinvolto e tranquillo come se fosse arrivato in quel momento conscio che, quasi sicuramente, nessuno si fosse accorto di lui al momento dell’annuncio d’inizio serata dell’Arcivescovo, vista la sua completa anonimità.
Dato che aveva assolto le voglie sfrenate di quella matta della Barberini, ora poteva dedicarsi a questioni più serie.
Improvvisamente, una voce salda dall’accento orientaleggiante lo colse impreparato e alle spalle, chiamandolo per nome. Quando si voltò, una donna minuta lo fissava con due occhi scuri, talmente tanto da sembrare neri.

– Samar, lunga notte. –

Samar Tarèkh era uno dei pochi membri nel clan delle Ombre del quale sapesse veramente poco, se non le cose più ovvie: era un membro dell’Ordine del Drago, la sua famiglia era di origine ottomana e avvolta da un alone di mistero.
La prima volta che la vide aveva pensato che non fosse un granchè come aspetto fisico, nonostante questo era affascinante quanto ermetica, chiusa più di qualsiasi altro mekhet in circolazione.
Quella notte non aveva un abito da sera come molte altre vampire ma, come al solito, la sua mise era anonima: vi spiccava il blu damascato della giacca, un colore che mai mancava su di lei, negli abiti, negli accessori, talvolta compariva a macchie sulla pelle, tipo tacche di colore dal sapore vagamente impressionista.
Ancora non aveva ben capito il perché ma sembrava adirarsi se le veniva proposto di cambiarlo.
Nel suo tentativo di non essere notata, ai suoi occhi risaltava su tutte le altre vampire impomatate e lustrate di gioielli e piume.

Forse la sua era un’ossessione dettata dal fatto che fosse morbosamente curioso su cosa facesse nelle sue notti: sapeva che fosse una studiosa, d’altronde anche nel Clan si era guadagnata il titolo di Custode della Memoria, responsabile di archiviare tutte le informazioni che i mekhet si accaparravano; la sua attività nell’Ordine invece era più fumosa, sfuggente: nulla trapelava da quella congrega, tranne definizioni qualunquiste e banali.
Studiava, ma cosa? Era un’occultista come si vociferava?
Quando il Pretore del Conclave delle Ombre gli aveva comunicato che avrebbe dovuto collaborare con lei, aveva accettato senza indugiare, indipendentemente dal compito.
L’altro “compare”, Ettore Crisafi, non lo tollerava molto: il suo gergo e modo di porsi erano spesso fastidiosi e inopportuni.
Eccolo lì, a fianco di Samar: un tipo tarchiato vestito in nero con un’unica nota di bianco data dallo stemma del Movimento Carthiano stampata sulla t-shirt, una brutta cicatrice sulla faccia che gli attraversava l’occhio destro e una barbetta incolta rossiccia.

– Bene – mormorò – Ora che abbiamo fatto l’appello e siamo tutti presenti, che ne dite se ci leviamo da qui e andiamo a parlare… fuori? –

Samar annuì e anche Edoardo, una volta tanto, fu costretto a dar ragione al Crisafi.

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Crisafi si guardò intorno: l’ampio giardino di Villa Bottini era sì frequentato, ma per fortuna tutte le presenze erano abbastanza distanti da non destare fastidi.
Si sfregò la fronte dove troneggiava parte della cicatrice e tornò a guardare gli altri due mekhet, intenti a fissarsi, muti come tombe.
Inarcò un sopracciglio rossiccio.

– Beh? – sbottò, allargando le braccia. – Samar? –

Si fidava di lei, nel senso che la rispettava. Apprezzava il fatto che, pur essendo donna, avesse una fermezza quasi stoica, oltre al fatto che dimostrasse di avere molto più sale in zucca di parecchi vampiri anziani in circolazione.

– Stavo informando il Borgia del fatto che il Pretore vuole che il compito sia fatto stanotte. – replicò lei, impassibile.

Ettore trattenne una bestemmia che riecheggiò potente nella sua testa.
Era una testa di cazzo patentata, eppure davanti a una signora non riusciva a espletarlo, nonostante lì ci fosse Samar e non una donnicciola qualunque.

– Ah– tossicchiò Borgia – E perché?
– Evidentemente si è stancato di vedere gironzolare ancora quel figlio di puttana, non pensate, chierichetto? –

Il Santificato gli lanciò un’occhiataccia ma non rispose. Fece un ringhio – o meglio – provò a farlo, ma uscì fuori qualcosa d’indefinito tra un soffio felino e alito di vento.
Avrebbe riso di gusto se non si fosse beccato un’occhiataggia congelante da Samar.

– Il Pretore è stato chiaro: alla riunione del Conclave lui non deve esserci. –
– E’ presente stanotte? –

Ma dove cazzo ha la testa questo qui?

Non gli andava a genio quel Borgia. Palesemente troppo giovane e lasciato a briglia sciolta da quel folle del suo sire, era come un bambino alle prese con un mondo troppo grande rispetto a lui e che, ciononostante, tentava di fare pure il brillante con gli anziani del Clan.
Secondariamente, ma non meno importante, era un Santificato, un membro del Secondo Stato: una banda sconclusionata di preti, inquisitori e chissà cos’altro alle prese con una parodia vampirica di Gesù Cristo, solo con più sangue, maledizioni e profezie.
E pensare che lui nella vita umana non era stato nemmeno cattolico!

– Se non fossi stato a farti quattro salti con l’Inquisitrice Elena Barberini – e ammiccò nel dirlo, appositamente per dargli fastidio – Probabilmente lo avresti visto entrare dopo il discorso dell’Arcivescovo.
– Io non… –
– E certamente, tu non potresti mai… almeno te l’ha insegnato il potere delle Succubi? –

Al silenzio di Edoardo rispose con un mezzo ghigno.

Augusto Marinus stava seduto e accerchiato da un paio di signore e un distinto vampiro dai capelli lunghi che sapeva tanto di pomposo Invincibile con chissà quanti anni.
Se non si ricordava male era un tedesco – o svizzero? – duca di qualche parte del Nord, non si era interessato: era il Prefetto suo superiore che teneva i conti delle cariche politiche che giravano nella penisola italiana.
E a proposito di lui, eccolo lì a fianco a Francesco Roccabrivio a fare comunella come al solito: Ettore lì seguì con lo sguardo e poi tornò al bersaglio.
No no, lui era più per le botte che per la politica.
D’altronde si era guadagnato il titolo di Lama Nera tra i Mekhet proprio per questo.
Il fatto che fosse rimasto solo lui come sicario è un altro paio di maniche.
Aveva accettato l’incarico del Pretore anche per riportare in auge il suo ruolo tra le Ombre, oltre al fatto che condivideva l’opinione sul Marinus: un grandissimo stronzo che, sfruttando il fatto di essere un Custode della Memoria, era andato a spifferare ai quattro venti i fatti del clan, in particolar modo a qualcuno dei Ventrue.
Doveva diventare cenere.
Indiscutibilmente.

Bastardo, pensò, spero che almeno ti abbia insegnato la Dominazione, il fottuto Re da cui sei andato a dare via il culo.

In effetti lo aveva sempre considerato un potere interessante, quello dei Re. Manipolare e controllare le menti, rimescolare i ricordi e metterne di nuovi…

Tanto creperai prima di averlo sperimentato.

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Francesco Roccabrivio conversava fitto fitto con il Prefetto Carthiano di Bologna, ridendo e scherzando come se fossero compagni di merende uniti da un senso di cameratismo maschile che a quanto pare non era scomparso nonostante quei due fossero vampiri da circa una cinquantina d’anni, più o meno.
Samar, a un lato dell’entrata principale, fece una smorfia roteando gli occhi al cielo.

Oggi non ho tempo di star dietro a te e alle tue manie di protagonismo, Roccabrivio.

Aveva ben altro da fare, la Custode della Memoria, il suo superiore non rientrava tra la lista delle priorità della nottata.
Eppure la sua sola presenza bastava per farle salire l’orticaria, un fastidio che andava avanti dal momento in cui aveva messo piede in Italia e si era insediata a Roma, insieme agli altri Dragoni.
Adocchiò il Marinus e notò che era abbastanza vicino: era il momento di agire.
Si schiarì la gola e si staccò dalla sua postazione, fingendo di camminare distrattamente fino a incontrare, con lo sguardo, quello dell’altro Mekhet.
– Marinus! Lunga notte. –
– Tarèkh, quale piacere. Vi state divertendo? –
– Ah, cugino. – fece un sorriso non troppo ampio – Sapete bene che i miei interessi non collimano con incontri sociali di questo tipo. –
– Sì, sì, comprendo. Il Conclave quando si riunirà? –

Lei scrollò le spalle.
– Ci sono pochi altri cugini in giro. Ho visto Crisafi, i Trivulzio e…ah, Borgia! –

Accennò un lievissimo sorrisetto complice al Santificato che aveva sapientemente colto il momento giusto per passare casualmente di lì.
Si guardarono per un istante e non ci vollero parole per ciò che sarebbe dovuto accadere dopo.

Diversivo.

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Maledizione, non avevo mai notato quanto fosse logorroico il Marinus.

– E quindi, Borgia, vorreste diventare un Custode della Memoria?
– E’ una delle opzioni. –
– Quale altra scelta avreste, altrimenti? Rifondare le Lame Nere? –

Il baronetto lo guardò da capo a piedi e scosse la testa.
– Con tutta franchezza e rispetto, non credo che ne abbiate le caratteristiche. –

Già. Eppure sono qui a fare il loro lavoro.

La Villa Bottini e il frastuono del ballo si stavano progressivamente allontanando e lui, il Marinus e Samar si stavano addentrando sempre più nel giardino, illuminato da una fioca luce di luna.
“Facciamolo parlare” aveva detto lei mentre organizzavano il piano “Si distrarrà dal fatto che lo stiamo isolando. Al resto ci penserà Crisafi.”
Stava funzionando, in effetti.
Augusto parlava e parlava e sia lui che la sua complice gli davano imput per evitare che la conversazione finisse.
Il gioco però non era destinato a durare: forse avevano sottostimato le sue capacità intellettive perché infatti, ad un certo punto, il mekhet cominciò a guardarsi intorno.

– Ma… –

Merda.

– Ci siamo allontanati troppo, direi che sia il caso di tornare alla Villa.

Dannazione, Crisafi è ancora troppo lontano…

Si paralizzò sul posto, incapace di articolare una risposta sensata.

Fa qualcosa Borgia, fa qualcosa!

Mentre si arrovellava il cervello, una voce ruppe quel circolo vizioso di pensieri senza uscita, una voce salda e orientaleggiante:

– Avete ragione, Augusto. –

Edoardo guardò incredulo Samar prendere sottobraccio il Marinus e volgere il capo verso di lui.

– Ci siamo persi in chiacchiere e a quanto pare anche il ballo. Ammesso e concesso che qualcuno stia ancora ballando. –

Nel momento in cui i loro sguardi s’incrociarono, la mano sinistra si alzò svelta verso la mandibola del Marinus per bloccarla e poi successe qualcosa, in pochi attimi, che fece cambiare il tono di voce della Custode da mellifluo a deciso e perentorio

– Prosegui in quella direzione. – indicò verso la zona in cui Crisafi stava aspettando – Non fiatare, non fermarti,

Lo lasciò andare e quello, un po’ inebetito, iniziò a camminare.
Edoardo Borgia non disse una parola. Non si mosse, non sbatté nemmeno le palpebre: come una stalattite era lì, in mezzo all’erba e di fronte a sé aveva Samar, la prodigiosa Samar.

– Beh, complimenti, Borgia. – gli disse – Avete soddisfatto gli ordini degli anziani del Conclave delle Ombre.
– Io? Voi! – ribatté il ragazzo – Voi…voi avete usato la Dominazione! Voi…il potere esclusivo dei Re… –

La Mekhet gli si era avvicinata, furtiva e svelta come una pantera e lo guardava dal basso della sua statura, con i profondi occhi scuri.
Gli fece una carezza e poi gli prese il viso tra le mani, delicata, posando le labbra sulle sue.
Quando incontrò di nuovo il suo sguardo, vicinissimo e deformato da due grosse pupille dilatate, divenne tutto ovattato, offuscato e poi definitivamente buio.
L’ultima cosa che sentì fu la voce di Samar, distorta e sempre più lontana.

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2 Novembre, Udine.

Il castello del Duca Alexander Van Hoffer sorgeva su una collinetta che dava sulla città: affacciarsi al terrazzo del salone e vedere la distesa di luci e case era, per lui, una dimostrazione del sentimento di onnipotenza, del sublime romantico tanto decantato dai poeti, letterati e pittori, quella vastità sconfinata che pervade di piacere e sgomento.
Stava lì Samar, ad osservare la notte scorrere sulle vite riparate dalle case dei mortali, con in mano un calice di zero negativo che non aveva toccato dal suo arrivo.

– Non vi piace, cara? –

La voce profonda le solleticò l’orecchio destro: era musicale, le piaceva.

– Non ho molta sete. –

Un servo apparso dal nulla le prese immediatamente il calice dalle mani e con esso sparì dietro la vetrata del salone.

– Ditemi: avete risolto quella questione tra Ombre? –

Samar annuì.
– Ci sono state delle complicazioni, ma alla fine è andato tutto come doveva andare. Augusto Marinus è cenere. –

Van Hoffer inclinò leggermente il capo di lato e una ciocca di capelli gli ricadde sul petto, arrivando al costato.
Non era giovanissimo, si vedeva: qualche ciocca bianca dell’insolita lunga chioma spiccava alla luce della luna.

– Sembrate…amareggiata, Samar. –

La sua capacità di leggere le persone la apprezzava quanto la detestava. Forse era un tratto che i vampiri acquisivano con gli anni, il Duca senz’altro era un anziano navigato: disquisiva di eventi datati nell’800 come se li avesse veramente vissuti, parlava delle varie correnti artistiche e di alcuni pittori, Van Gogh, Gaughin, Cezanne, come se li avesse visti e conosciuti.

– Borgia si è preso il merito perché sono stata io a deciderlo. – sibilò – Manipolarlo è stato semplice, visti i suoi punti deboli. –
– Gli avete cambiato i ricordi come vi ho insegnato?
– Non potevo permettere che qualcuno sapesse. – si staccò dalla balaustra e ruotò il busto verso il Ventrue – Quindi ora ciò che tra i Mekhet si vocifera è che il Marinus era un traditore del clan e in quanto tale è stato punito. Punto.-

Il Duca annuì, compiaciuto.
– Bene, direi di ripartire da qui. Continueremo la nostra corrispondenza epistolare, magari aumentando i controlli. –
– Mph– bofonchiò l’Ombra – Magari evitate di dare le mie informazioni a chi non è capace di trattenerle. –

Non voleva rischiare di nuovo l’esistenza e non voleva rischiare di nuovo di esporsi troppo.
Agire nell’oscurità, questo era da sempre il suo motto.

– Samar, è un piacere fare affari con voi. –

Arriverà il momento in cui cambierete idea, Duca.

– Buona fortuna per vostra figlia, Van Hoffer, per la carica che aveva il Marinus. Quando vorrete eliminare qualcun altro che v’infastidisce… –

Fece un inchino teatrale, sollevando un finto cappello sul capo.

– Tornereste? –

Magari per le capacità dei Re legate agli animali, o altri benefici, chissà cosa potrebbe servirmi in futuro…e al momento opportuno, saprò come chiudere i ponti.
Non si sentiva in colpa.
Nella sua famiglia aveva imparato a non provare questo sentimento e a non farsi mai scrupoli.
Alcuni Mekhet caldeggiavano le cause dei cugini, del clan, altri preferivano portare avanti le bandiere della congrega: con sotterfugi e mosse astute erano quei dannati che, nella danza macabra, erano rinomati come “burattinai”, quelli di cui non ci si può mai fidare.
Samar Tarèkh non pendeva da nessuna parte della bilancia ma stava nel mezzo: promuoveva solamente le cause ambiziose di sé stessa.