Diario di una giocatrice di ruolo imbranata: la semplicità come risorsa

Bentornati in un altro episodio del “Diario di una giocatrice di ruolo imbranata”!

Dopo aver parlato di alcune delle figure che si possono trovare nel contesto di gioco di ruolo live, faccio un passo indietro e torno a parlare del personaggio, fulcro del concetto di “gioco di ruolo”.

Come già detto, si parla di “interpretare”, calarsi nei panni di un’altra persona che sì è frutto della nostra mente e per questo a noi legata, ma rimane comunque qualcosa di diverso da ciò che siamo noi.
C’è chi è molto bravo e riesce a creare una persona opposta a quella che poi è nella realtà, caratterizzando all’ennesima potenza il personaggio con tic, accenti particolari, intercalari e trigger comportamentali specifici che attirano e, perchè no, fanno finire in situazioni potenzialmente buone quanto dannose.

Dall’altro lato della medaglia c’è la giocatrice imbranata.
Sarò brutalmente onesta, io non sono capace a creare un personaggio diverso da me attraverso la sola interpretazione. Forse è il carattere ad influenzarmi, sta di fatto che mi rendo conto che le mie creazioni, due al momento, sono molto simili caratterialmente a come sono io.


Non preoccupatevi, cari giocatori imbranati: non è sbagliato.
Non c’è nulla di sbagliato, finchè ci si diverte.
E perchè no, ci si potrebbe divertire a giocare anche una variante di noi stessi.

La caratterizzazione del personaggio, a mio avviso, non deve passare unicamente dall’aspetto recitativo e interpretativo.

Sì, sì, avete ragione: giocare live significa interpretare, calarsi in un ruolo.
Non dico che tale componente non sia fondamentale, dico solo che per rendere un personaggio tale a 360 gradi, si può ricorrere a degli escamotage che riescono a compensare un’eventuale carenza d’interpretazione.

Avete mai sentito parlare di costumi e trucco? Come nei film, anche nei giochi di ruolo l’aspetto scenografico del personaggio ha il suo peso.
Ricordo una bellissima giocata, molto tempo fa, quando ero una nabba senza speranza di redenzione, con un personaggio che mi disse quanto fosse importante saper osservare chi si ha di fronte.

Si possono scoprire veramente un sacco di cose guardando e basta qualcuno, questo vale in qualsiasi cosa…e in un gioco dove interpreti qualcun’altro ,assume un significato più incisivo.

Chiaro è che se ti vedi arrivare un tizio vestito da barone del 700 e uno con un mitra sulla spalla in tenuta antisommossa, partirai abbastanza prevenuto sul come rapportarti ad entrambi, no?

Anche qua, c’è da fare una distinzione.

C’è il giocatore professionista che si compra abiti e accessori spettacolari. Esistono sarte e sarti, artigiani del cuoio, lattice e chi più ne ha più ne metta: insomma, esiste un vero commercio per costruire un costume bellissimo e di fattura pregiata.

Il problema? Costo, ovviamente.
La qualità si paga, con cognizione di causa direi.

Quindi, si può caratterizzare il personaggio con un costume, accessori e trucco, senza spendere un rene?

Sì, certo. In realtà basta pensare che a volte la semplicità, se usata nel modo corretto, possa essere più di impatto di qualcosa di vistoso.
Per chi sa osservare, ogni dettaglio è importante.
Nei miei anni di gioco di ruolo ho capito che, in presenza di abiti piuttosto anonimi, avrei dovuto rendere interessante il mio personaggio attraverso particolari che avessero un significato.

Un esempio? Giocavo una deportata ebrea di Dachau. Sull’avambraccio destro mi ero disegnata un numero a 4 cifre, il tatuaggio che veniva fatto nei campi di concentramento.
Quel banalissimo dettaglio ha scaturito molte giocate, ha intessuto legami e ha reso il mio personaggio particolare.

Una macchia di un colore strano, disegni runici sul viso, ferite, cicatrici, occhiaie di un certo tipo, trucco diverso di sessione in sessione in relazione all’umore: insomma, usavo ciò che potevo per comunicare una piccola parte di quello che si nascondeva dietro all’apparenza, abbastanza da scaturire la curiosità di alcuni o, in certi casi, il timore di altri.

Meglio che specifichi una cosa: non critico chi spende un patrimonio per accessori o abiti di un certo tipo; non nascondo che anche io, potendo, ho fatto le mie spese. Quello che vorrei far capire è che la semplicità non è sinonimo di banalità e che si può caratterizzare un personaggio anche con poco: l’importante è avere fantasia e un minimo di coerenza con ciò che si è costruito.

Easy peasy.

Sofia Starnai
Gruppo letterario Camarilla Italia
http://www.camarillaitalia.com