Dalla finta all’app

Benvenuti o bentornati! Questa è una nuova puntata di “Gioco di Ruolo in pillole”: una piccola rubrica mensile, scritta per la collaborazione tra le due associazioni Camarilla Italia e Torre Nera, che si pone come scopo quello di spiegare cosa c’è alla base di questo hobby.

Una guida, stilata da me medesima senza alcuna pretesa professionale, chiara e concisa: una pillola da mandare giù tutta d’un fiato.

Con l’argomento di oggi posso provarvi che, almeno una volta nella vita, avete giocato di ruolo senza davvero saperlo: sto parlando dei giochi di società, un termine quasi nostalgico e che inevitabilmente riporta alla mente ricordi d’infanzia. Vi basterà pensare a “Guardie e Ladri”, uno degli acchiapparella più comuni secondo cui un gruppo interpreta le guardie all’inseguimento del gruppo che interpreta i ladri; certo, è un tipo di GdR molto semplice, ma permette al bambino di calarsi in una parte e divertirsi cosciente del ruolo assegnato. Il “facciamo finta di…” nell’infanzia ha uno scopo sia ludico che didattico: l’ovvietà di questi divertimenti sta alla base dei giochi di ruolo come li conosciamo adesso.

Come diceva George Bernard Shaw: “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.”

Anche crescendo, e da adulti, si continua a giocare, ergo si continua ad interpretare ruoli: milionari in Monopoli, generali strateghi in Risiko, detective in Cluedo. Negli anni, il ruolo interpretato dai giocatori è diventato parte integrante nello sviluppo del gioco. Le persone iniziano a far parte dell’ambientazione: titoli come Hotel, che è “erede” del Monopoli ma con una componente molto più fisica, costituito da non più anonime casette di plastica ma veri e propri edifici che rappresentavano l’impero economico dei magnati interpretati dai giocatori. Come non citare altri titoli resi famosi anche dagli spot televisivi: l’oramai introvabile “Isola di fuoco”, un piano di gioco tridimensionale fatto di trappole e ostacoli di sorta in cui dei novelli Indiana Jones andavano alla ricerca del tesoro nascosto sull’isola. Oppure “Brivido”, una casa stregata da cui i malcapitati di turno dovevano uscirne vivi.

Non tutti i giochi di società presuppongono l’interpretazione di un ruolo. Per esempio, il gioco dell’oca, Scarabeo o il più recente Trivial. Proprio per questo vengono chiamati giochi astratti.

Il punto di contatto tra il gioco di ruolo più propriamente detto e il gioco di società è sicuramente “Heroquest”. Qui, infatti, i giocatori non sono tutti a pari livello ma uno di essi funge da narratore onnisciente. In altre parole, vi è un master come in D&D.

Verso gli anni 2000 si è assistito alla nascita di un nuovo tipo di meccanica: i giochi cooperativi, nei quali i giocatori non sono in competizione tra loro ma si uniscono “contro” il gioco. In questo tipo di giochi, il ruolo in cui sono calati i giocatori è fondamentale per dare loro un maggiore senso di unità. Un esempio su tutti, i giochi cooperativi ambientati nell’universo di Lovecraft e dei Miti di Cthulhu; in questi solitamente i giocatori interpretano degli indagatori dell’occulto che devono affrontare creature ancestrali e spaventose divinità galattiche. Questo tipo di giochi sono probabilmente eredi di un filone molto popolare negli anni ’90, ovvero i giochi con la WHS: in titoli divenuti cult come “Atmosfear”, i giocatori si trovavano ad affrontare un personaggio su uno schermo televisivo.

Ora questa meccanica si sta spostando verso le nuove tecnologie. Cominciano infatti a fare la loro comparsa giochi che prevedono l’interazione con tablet o smartphone: “Le Case della Follia”, appartenente all’universo di Cthulhu, ora affianca al gioco “fisico” un’applicazione digitale che funge da master.

Grazie per aver letto il mio articolo. Alla prossima!

Tiziana Valentino

Gruppo letterario Camarilla Italia

www.camarillaitalia.com