Sangue di Re

Continua il mio tentativo di spiegare l’ambientazione di Vampire the Requiem, della White Wolf, usando come strumento la potente risorsa della narrazione.

Dopo aver parlato del Clan dei Mekhet e della congrega della Lancea Sanctum (qualora ve li siate persi, cercate gli articoli con titolo “Ombre” e “Nel nome del Padre”), questa volta vorrei tornare a parlare di un altro clan, quello dei Ventrue.
Gioco in casa, perchè nei live al momento sto proprio interpretanto una Ventrue.
Nonostante questo, il racconto è stato molto difficoltoso da scrivere proprio perchè volevo raccontare tutto (Non avete idea di quante volte abbia dovuto riscriverlo!).

A parte questo, smetto di dilungarmi in chiacchiere e vi lascio alla lettura.

Al prossimo mese!

Sofia Starnai
Gruppo Letterario Camarilla Italia
http://www.camarillaitalia.com

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Bologna, eliseo di Luglio 2017

Villa Beatrice era abbastanza affollata in quella notte afosa di mezza estate, molti Daeva popolavano le stanze e i corridoi tappezzati di arazzi dai colori sgargianti e quadri dall’eco vagamente ottocentesco.
Ovvio, era la loro serata.
Balli, conversazioni civettuole e rose, rose ovunque.
Una coppia passò alla sua destra: erano due vampire con variopinte acconciature e gioielli brillanti, belle, perfette nei loro bustini e gonne vaporose.
Dal muro cui era poggiata, Kaine Caracciolo fece una smorfia di disappunto.

Siete destinate ad appassire, roselline.

Era il destino di tutti i dannati, il perdere ciò che li rendeva umani. Sentimenti, pudore, emozioni: tutto diventava ovattato fino a sparire del tutto.
Sospirò. Le avevano detto che il clan Daeva era così smodato proprio per il fatto che, rispetto agli altri, sembrava perdere molto più rapidamente la natura umana, ragion per cui i suoi membri cercassero in tutti i modi di sperimentare ogni cosa fino all’eccesso.
Frivolezze, per lo più.
Lei aveva già fatto pace con il suo futuro, ed era pronta ad accettarlo.
Si staccò dalla sua postazione e attraversò il corridoio fino alla stanza centrale.
Era una grossa sala con una tavolata a ferro di cavallo e sedie di velluto rosso tutte intorno: su molte c’erano i membri del clan dei Ventrue che a breve avrebbe cominciato una riunione.
Il suo sguardo vagò per la stanza soffermandosi sui diversi presenti e assenti.
Da un angolo proveniva la fastidiosa voce roca di Francesco Roccabrivio, che conversava con la sua solita verve da pazzo con Giulia Geremei, la quale pareva pendere dalle sue labbra.
Lui faceva parte dell’Ordine del Drago ed era forse la persona più piantagrane che avesse mai conosciuto in sessant’anni di non esistenza.
Come tutti i dragoni, inoltre, era misterioso e sibillino: questo faceva paura a molti, perché in passato si era potuto vedere come il Drago avesse un artiglio in ogni fatto cittadino e non, spaziando in conoscenze belliche ed occulte.
Lei, invece, era una nobile Invictus, altezzosa e perfettina, la classica contessa con la puzza sotto il naso che squadra dall’alto in basso chi non è nella nobiltà del Primo Stato.
Kaine era un’Accolita del Circolo della Megera, l’ultimo anello della catena del Terzo Stato, la feccia, per quelli come Giulia Geremei; infatti, non appena la vide arricciò il naso e mormorò qualcosa con disprezzo.
La megerita inarcò un sopracciglio e fece un sorriso di melassa:

“Lunga notte, cara Giulia, ben trovata”

Stupida cretina.

Incontrò lo sguardo strano del Roccabrivio e si costrinse a salutare anche lui, che rispose prontamente:

“Kaine Caracciolo. Vorrei parlare con voi, dopo la riunione…”

Diamine, questo non molla mai.

Erano mesi che stava dietro a tutto il Circolo per strappare il permesso di accedere al cimitero dei Caduti di Sabbiuno, un luogo interno al territorio dei megeriti e, più precisamente, del Gerofante.
Non sapeva con esattezza perché lui e l’Ordine volessero andar proprio lì, ma qualcosa le diceva che non c’era niente di buono, proprio niente.
Aveva tampinato diversi membri ma ultimamente si era concentrato su di lei, insistendo in un modo quasi opprimente: lo aveva capito il suo gioco, ma non ci cascava.
Il Roccabrivio voleva puntare sul fatto che entrambi fossero dei Ventrue e, arrivando a lei, avrebbe potuto toccare il Gerofante, al quale era comunque vicina: non era un segreto, tutti potevano vedere che era sempre alla sua destra.
Lo congedò frettolosamente e si allontanò. Avrebbe trovato un modo per evitare quel fastidio anche stavolta, era brava a dissimulare, lo era sempre stata.
Dall’altro lato della stanza, riconobbe una figura familiare.
Appariva come un giovane di circa venticinque anni, alto, longilineo, vestito di tutto punto in un completo color zaffiro che faceva un perfetto contrasto con la pelle d’alabastro. Colloquiava amabilmente con un Santificato, ma lei era intenta a guardare lui, la sua barba biondiccia incolta sul viso e i capelli raccolti in un codino basso, dal quale però sfuggiva qualche ciocca sottile.
Abel, suo fratello, era etereo, paradossalmente etereo.

Figli dei Caracciolo ma anche di nessuno.

Avevano una sintonia particolare, data non solo dalle stesse idee, ma anche da esperienze comuni: al loro arrivo nella società dei dannati bolognesi, entrambi non facevano parte di una famiglia nobile riconosciuta da tutto il clan, per un motivo o per un altro, erano stati rinnegati dal loro Sire.

Che cosa hanno questi altri in più di noi? Una lunga lista di avi e trisavoli da sfoggiare?Abbiamo dimostrato ampiamente di essere un Re e una Regina capaci. Non ci servono questi fronzoli!

Non era vero, almeno non dall’aprile del 2015, quando alte cariche nel Senato decisero che un Re o una Regina, per essere riconosciuto come tale, avrebbe dovuto far parte di una delle famiglie strettamente collegate ai padri creatori di tutti i Ventrue italiani: Cassius, Icarius l’Implacabile e Marcus il Crudele.
L’onta di essere plebei era troppo gravosa per entrambi e per caso si trovarono insieme nella famiglia Caracciolo, adottati da un pater familias in cerca di militanti fuori dalla regione campana.

Siamo parte di una famiglia, siamo Caracciolo ma non basta! No, noi non abbiamo la lunga discendenza, quella che dà prestigio a un Re.

Le salì il nervoso. Quella questione era delicata e sapeva che Abel ne soffriva molto, probabilmente per il suo essere del Primo Stato, il quale faceva del retaggio un’arma affilata.
Guardò il fratello e, per un attimo, i loro occhi s’incrociarono.
Lo vide alzare leggermente un sopracciglio e accennare un sorrisetto.

Vecchia volpe

C’era abituata a linguaggi in codice, occhiate fugaci: in pubblico lei e lui dovevano risultare come perfetti sconosciuti, sia mai che un Invincibile fosse scoperto a fraternizzare in modo particolarmente intimo con una megerita.
La voce gracchiante del Censore la risvegliò dai suoi pensieri e, lentamente, si avvicinò al tavolo dove si stava sedendo Abel.

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“Dividetevi secondo le diverse gens

Il Censore, un vampiro basso e tarchiato in un completo color tortora che quasi sembrava esplodere da un momento all’altro, era in piedi vicino a un grande scranno  di legno chiaro al centro del lungo tavolo, posto in fondo alla sala.
Tutti si disposero secondo le indicazioni, al centro la gens di Cassius e ai lati quelle di Marcus e Icarius.
Abel si sedette a destra in attesa che la sorella lo raggiungesse in quel modo che riusciva a fare lei, quel passo ovattato identificabile solo con il fruscio della gonna che accompagnava la sua andatura, flessuosa come quella di una pantera.
La guardò con la coda dell’occhio mentre occupava il posto accanto a lui con nonchalance, come se non si parlassero mai e fossero degli sconosciuti approdati per caso nella stessa famiglia.

Oh, se solo sapessero…

Erano dei bravi attori, questo era innegabile. Oltre a questo però erano anche abili a nascondere ogni possibile legame con incontri segreti, linguaggi in codice, messaggi criptati: nella sua vita umana era stato nella criminalità organizzata, sapeva molto bene come non farsi scoprire.
Kaine invece aveva una dote naturale per la dissimulazione, la persuasione e la discrezione, caratteristiche che aveva affinato negli anni, o almeno così gli aveva detto.
Lo sguardo del vampiro carezzò con più cura il suo profilo, mentre gli altri Re si apprestavano a prender posto nella sala.
Il caschetto corvino le copriva la guancia, ma non il naso sottile, quasi a punta; da quell’angolazione anche gli occhi erano celati, anche se poteva intuire con una buona probabilità come apparisse il volto della sorella: magro, mulatto e con una perenne espressione sospettosa e selvatica.
Si spostò sulle spalle e le braccia tornite e infine sul ciondolo che aveva al petto, uno specchio rovesciato, a cui non era mai riuscito a dare un significato.
Da lì spostarsi su ben altre zone il passo è breve.

Contieniti, Abel.

Spostò lo sguardo altrove, ma la fortuna non fu dalla sua: nella sua visuale comparve l’icariana Eleonora Vitiello dalla parte opposta rispetto alla sua, stretta in un corsetto vermiglio che lasciava ben poco all’immaginazione.

Maledizione!

Il suo era un vizio senz’altro piacevole quanto difficile da controllare, soprattutto agli incontri della società dei dannati, in cui le signore si presentavano spesso con abiti che stuzzicavano la sua immaginazione fervida e scabrosa.
Poi c’era Kaine.
Una tentazione perenne che aveva saggiato più volte e di cui non riusciva a farne a meno.

“Ah, i Caracciolo.”

Entrambi ruotarono la testa in direzione della gens di Cassius trovando la figura di Gustavo Mallari che sghignazzava di gusto, seguito da qualcuno delle sue stesse fila e quelle icariane.
Abel lo guardò celando faticosamente un disprezzo viscerale.
Tra tutti, lui era quello che detestava di più, nonostante fosse un nobile Invictus, riconosciuto e acclamato: la sua famiglia era una delle più antiche del clan dei Re, inoltre vantava di una profonda lealtà al Primo Stato, cosa di cui si vantava ogni dove e in ogni modo.
Agli elisei si vedeva farsi largo con la sua grossa mole, lordo di sangue che gli insozzava il collo del bavero fino al panciotto; talvolta portava con sé qualche pezzo di cadavere che nel corso della serata si divorava con gusto.
Seppur il lauto nutrimento di carne umana gli conferisse, oltre alla corporatura eccessivamente massiccia, dei poteri particolari e sconosciuti ai più, Abel inorridiva sempre quando lo vedeva.
Non solo: quel grassone era particolarmente divertito a vessare lui e la sorella per via del loro retaggio orfano di nomi importanti, differentemente dalla sua persona che poteva vantare di una lunga dinastia.
Sapeva, per cui, che il Mallari si stesse preparando a infierire anche quella notte nel suo modo fastidioso che gli apparteneva. Si sentì squadrato dall’alto in basso dagli occhi rossastri e porcini, a cui rispose con uno sguardo glaciale e impassibile.

“Lunga notte, Vostra Grazia.”

L’altro si gonfiò tutto in petto, tronfio di chissà che cosa.

Schifoso, lurido, abominio di questa terra…

E avrebbe continuato gli improperi se non si fosse reso conto che il bersaglio era diventato Kaine.

“Non vi hanno insegnato le buone maniere nella nuova famiglia?”

Il corpo della sorella cominciò a fremere impercettibilmente.

“Oppure essere plebei è una macchia difficile da lavare via?”

Abel strinse con violenza un pugno sotto il tavolo artigliandolo al legno, mentre con l’altra mano andò a cercare il polso di Kaine.

Non ora, sorella, non ora. Arriverà il momento…

L’odio per Gustavo era altissimo: proprio per questo non voleva dargliela vinta mostrando che le sue parole erano riuscite in qualche modo a scalfire il loro essere.

Mai, mai mostrarsi colpiti dai propri avversari.

Un colpo di tosse interruppe la spiacevole conversazione e, per la prima volta, dovette ringraziare il Censore.
Lasciò il polso di Kaine e prima di allontanarsi del tutto, le passò delicatamente un dito sul dorso della mano, poi lo ritrasse, raddrizzandosi sulla sedia.
La voce grossa e impastata del Mallari si levò nella stanza, verso il Censore:

“Censore, non mi pare di aver convocato una riunione.”
“Infatti.”

Avrebbe sorriso malamente se solo non fosse stato atterrito dal ghigno strano che il vampiro dal completo color tortora rifilò all’altro, come se stesse aspettando qualcosa da gustarsi pienamente.

“Bene, Sangue di Re”

Dopo aver dato una rapida occhiata alla tavolata, riprese:

“Stanotte non ci sarà la solita riunione tenuta dal vostro Console, Sua Grazia Mallari.”

Era ovvio, il Censore appariva solamente quando c’erano grosse questioni di carattere finanziario da risolvere nel clan, faccende gravi che richiedevano la consulenza di una figura super partes, insomma: cose straordinarie, non le solite magagne e teatrini imbastiti dal grassone invincibile.
Abel d’altro canto non si era nemmeno sorpreso che quel decerebrato non arrivasse a un ragionamento così semplice; forse la mancata perspicacia era dovuta al bizzarro modo di nutrirsi che lui e la sua famiglia avevano, ma non ne era certo: non conosceva altri Mallari oltre Gustavo.
Intanto il Censore si era avvicinato a una delle porte laterali della stanza e la stava aprendo.
Sentì un rumore pesante di qualcosa che è trascinato per terra.
Tutti i Ventrue in sala si guardarono perplessi. Vide il Della Torre con una mano sul fodero della pistola, fermo sulla sedia ma con una gamba tesa, pronta a muoversi per permettergli di alzarsi.
Ci fu un attimo in cui anche il fruscio misterioso si placò e il silenzio piombò tra i dieci vampiri immobili.
Poi, come un rombo di tuono, una voce cavernosa rimbombò nelle quattro mura, e un uomo alto e con occhi di pietra si palesò alla loro vista.

“Lunga notte, Sangue di Re”

No…non può essere lui…

Sapeva benissimo che la sua memoria non s’ingannava, lo sapeva, ma nonostante ciò non riusciva a credere a quello che vedeva.
Lì davanti a un manipolo di Ventrue attoniti, statuario e spettrale, c’era un vampiro ultra centenario che tutti conoscevano bene: Marcus il Crudele.

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Non volava una mosca.
Tutti si erano inchiodati alle loro sedie, schiacciati dal peso della potenza del sangue di Marcus, placidamente seduto sullo scranno di legno chiaro centrale lasciato libero dal Censore sin dall’inizio.
Nessuno aveva il coraggio di guardarlo. Non che fosse di brutto aspetto, ma tutti si sentivano inadeguati anche a sedere al suo stesso tavolo, figuriamoci incontrare i suoi occhi.

“Ebbene” disse infine il vecchio vampiro “Vedo che ci sono cittadini di Roma e di Milano. Me ne compiaccio.”

Li squadrò tutti, uno a uno. Kaine s’irrigidì come se il fuoco le avesse marchiato la pelle e sentì che pure Abel al suo fianco si era pietrificato.

“Dunque…”

Iniziò a carezzare la superficie del tavolo distrattamente, alternando lo sguardo dal suo operato e i vampiri di fronte a lui.

“Come ben sapete, mi sono svegliato da circa un anno dal torpore. Mi sono dovuto riabituare a un nuovo secolo…è tutto così diverso. In ogni caso, ho mandato il Censore a controllare cosa stessero facendo i Re e le Regine in Italia.”

Kaine lanciò un’occhiata al vampiro a fianco di Marcus, che ghignava sadicamente.

Lo sapevo che quello ci stesse nascondendo qualcosa, maledizione.

“Dovevo sapere cosa mi avesse lasciato Cassius. Il grande Cassius!” continuò il vampiro alzando teatralmente un dito al cielo, muovendolo con energia “Cassius sicuramente avrà guidato i Ventrue verso il potere, verso la gloria che ci spetta di diritto. Questo pensavo e speravo, quando inviai il Censore a controllarvi.”

Non mi piace. Tutto ciò non mi piace.

Deglutì e mantenne lo sguardo fisso sul suo pezzo di tavolo. Con la coda dell’occhio vide le mani di Marcus agganciarsi al bordo del legno; le nocche divennero quasi livide e per un attimo pensò che stesse per spezzarlo in due.

“E cosa ho scoperto? Censore, volete illuminarci nuovamente?”

Un colpetto di tosse. Probabilmente il volto del Censore ora era tutto tronfio di sbattere in faccia i fallimenti a tutto il clan, fallimenti peraltro a cui a Bologna non erano riusciti a trovare un rimedio da sei mesi a questa parte.

“Allora, a Bologna il clan non ha rilievo. Roma e Milano non vantano certo di posizioni migliori, ma la peggiore è senz’altro questa città: il Principe, il Monterumici, favorisce palesemente il proprio clan, i Gangrel. Il che è perfettamente normale, il fatto è che i Re non si sono mai mossi per cambiare la situazione e, di fatto, non ricoprono alcun ruolo d’importanza cittadino.”

Poi, con tono solenne, concluse:

“I Re, di fatto, non hanno potere.”

Calò un silenzio agghiacciante. Marcus smise di muoversi, piantò gli occhi addosso a tutti i presenti, facendoli congelare ulteriormente sul posto e, con tono di voce stranamente basso, mormorò:

“Dunque, fatemi capire bene: dormo per cinque anni lasciando un clan all’acme della sua potenza a Cassius, che ne ha fatto ciò che ha voluto fino al mio risveglio. Poi, una volta decorso il tempo del mio torpore, scopro che quel clan, quella mia creatura, si è avvizzita, surclassata da altri e più precisamente, dai…Gangrel.”

Ridacchiò profondamente.

“Le…bestie. I Selvaggi.”

Quando ebbe finito reclinò un attimo la testa all’indietro e, dopo esseri raddrizzato sullo scranno, sibilò:

“E voi vi definireste sangue di Re?”

Nessuno rispose, nessuno si mosse. Un boato sordo fece vibrare il tavolo, sovrastato solo dalla voce di Marcus:

“SIETE SOLO DEI FANTOCCI!”

Si alzò in piedi, con la mano che ancora fremeva per il colpo tirato.

“Vi fregiate delle vostre discendenze senza capire che un Re senza potere è il niente. Ha quasi più dignità un plebeo che un Re che si finge di essere tale. Dovrei porre fine alle vostre esistenze, qui, seduta stante ma…voglio darvi un’opportunità: prendete Bologna. Spodestate quell’animale di Monterumici e fate sì che tra sei mesi io possa vedere i risultati. Se non dovessi vederli…”

Non serviva neanche che continuasse. Il messaggio era chiaro, o almeno lo era per lei. Marcus tornò a sedersi e, con un gesto stanco, li congedò; ma prima che potessero alzarsi, aggiunse:

“Voglio parlare in privato con le famiglie che provengono dalla mia genealogia, la gens marciana. C’è qualcuno qui che ne fa parte?”

Kaine ruotò il capo verso Abel che già ricercava il suo sguardo, in attesa di qualsiasi cenno da parte sua.
Alzò una mano cautamente e, con un filo di voce, rispose:

“Noi due.”

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“Quindi voi sareste…?”

Abel aprì bocca ma non riuscì a dare suono alle sue parole: fu la sorella a fare le presentazioni. In quel momento invidiò la sua fermezza, nonostante un vampiro vivente probabilmente il quadruplo dei loro anni fosse di fronte a loro e li squadrasse come se volesse divorarli da un momento all’altro.

“Presentatevi come si confà a un Re e una Regina.”

Cercò il viso di Kaine e ne colse l’espressione impietrita. Si fece coraggio, decise di prendere la parola:

“Non abbiamo una diretta discendenza con Voi. Siamo stati adottati da Cesare Caracciolo” indicò la sorella e continuò “Lei due anni fa, io chiesi asilo nelle nobili fila poco dopo.”

Marcus rimase pensieroso per circa un minuto, che può sembrare breve, ma in quel frangente parve un’eternità.

Ci incenerirà qui o, nella migliore delle ipotesi, ci ripudierà.

Il giovane Invincibile si aggrappò al suo bastone da passeggio, l’unico appiglio in quel momento che lo teneva saldo al terreno.

E se ci dovesse ripudiare, che fine potremmo mai fare? Chi vorrà mai lo scarto di Marcus in persona?

Guardò ancora Kaine che gli restituì uno sguardo che tradiva la sua preoccupazione. Anche lei stava riflettendo, ma differentemente da lui non le interessava ciò che quell’anziano avrebbe potuto fare con la sua ‘nobiltà’.

E’ una megerita, una sciamana, come posso pretendere che capisca quanto sia fondamentale la posizione sociale?

“Mi fido del buon senso di Cesare”

La voce di Marcus ridestò entrambi i Caracciolo dai pensieri tortuosi.

“Se per lui siete degni di essere della gens marciana, evidentemente in voi ha visto qualcosa.”

Lo vide studiarli entrambi e sogghignare.

“Una megerita e un Invincibile. Sembra quasi uno scherzo di pessimo gusto, ma è realtà a quanto vedo. Alzate lo sguardo, giovani Caracciolo.”

Lentamente Abel spostò gli occhi dal tavolo, passando dalle mani livide, risalendo lungo il pesante mantello scarlatto, fino a posarsi definitivamente sul volto di Marcus.
Era molto pallido, segnato dal tempo che aveva dovuto passare su questa terra, tra torpori ciclici e cambiamenti nel corso degli anni; solo i capelli corvini riuscivano a testimoniare la sua presunta età in vita umana, sulla quarantina, anno più anno meno.
Ciò che faceva rabbrividire erano gli occhi, due specchi grigi che risaltavano sulle occhiaie nerastre, due pugnali pronti a colpire, come un vero Ventrue sa fare.

Chissà quanti sono stati dominati da quegli occhi. Uomini, donne, bambini, animali, dannati.

“E’ tempo che la mia discendenza abbia ciò che si spetta, sia io fulminato dal sole se non dovesse averla con me al comando!”

Con un dito adunco indicò verso di lui.

“Tu diventerai Principe di Bologna, Abel. Non m’interessa come farai, m’interessa solo il risultato. Tu, Kaine, lo aiuterai. Se al mio ritorno in questa città non dovessi veder fatto ciò che voglio, state pur certi che il vostro nome sarà marchiato per l’eternità come feccia.”

Abel non rispose, annuì solamente. Per una volta tanto, nei suoi pensieri comparvero parvenze di volgarità.

Merda, sono fottuto.

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Qualche giorno dopo, in un hotel di periferia.

Kaine camminava avanti e indietro nella stanza, una grande suite arredata in stile moderno, semplice ma spaziosa: Abel non si faceva mancare niente.
D’altro canto, lui poteva permettersele certe spese, era un giovane rampollo del Primo Stato, i soldi certo non gli mancavano.

“Allora, dobbiamo pianificare come muoverci. Sei mesi sembrano tanti ma volano, eccome se volano.”

La camicia da notte le scivolava lungo il corpo, accennando la forma sinuosa della vita e dei fianchi che lui conosceva molto bene.
Il colore argenteo della seta faceva un bel contrasto con la pelle mulatta, sembrava quasi far brillare gli occhi d’ebano e illuminare le labbra carnose.

Come può essere stata schiava, una donna così?

“…indivuare alleati, stanare i nemici…”

Aveva aumentato la velocità di andatura, ora gli dava le spalle.
Dalla stoffa pregiata e perfetta, spuntava una cicatrice che si tuffava verso il basso, sparendo dalla sua vista.
Fece una smorfia, come quando si vede un brutto sfregio su un dipinto.
Sapeva molto bene che tutta la schiena era deturpata da cicatrici come quella, simbolo del suo passato e delle torture che aveva dovuto subire, ma ogni volta non riusciva a reprimere disappunto.
Si alzò, rapido e silenzioso. Fece qualche passo verso di lei, che rimuginava su come trovare supporto da Eleonora Vitiello, e le posò delicatamente una mano sul collo e la fece scivolare fino a incontrare una spallina della camicia da notte.
Intenzioni chiarissime e nessuna paura a nasconderle.

“No Abel, questo non è il momento.” Sbottò divincolandosi.

Oh andiamo.

La sua espressione sconfitta fu colta al volo dalla megerita, che replicò:

“Hai capito cosa succederà? Diventerai Principe e lo farai se ci muoveremo per tempo.”

“Ne sei così certa?”

L’occhiata di Kaine fu quasi raggelante. Si avvicinò fulminea e, dal basso verso l’alto lo fissò negli occhi, prendendogli il mento con due dita per costringerlo a non sviare lo sguardo:

“Ascoltami bene, Abel.” Sibilò “Non eri tu quello che voleva la posizione nobiliare? Non eri tu a preoccuparsene in modo maniacale? Ora è arrivato il momento di passare ai fatti. Siamo Caracciolo e conto di rimanerlo per un bel po’.  Nessuno ci porterà via quest’occasione, nessuno.”

Si guardarono per qualche attimo, intensamente.

“Lo so, sorella.” Mormorò infine lui “Ci aspettano dei mesi difficili in cui ci faremo alleati ma anche nemici.”

Le passò un dito lungo la mandibola, fermandosi sul mento per un poco e poi scendere fino allo sterno.

“Proprio per questo ti chiedo: puoi farmene dimenticare per una notte?”

Lasciò andare la mano lungo il fianco e rimase in attesa. Era dall’eliseo a Villa Beatrice che desiderava ardentemente toccare quella pelle, le labbra, stringere quei capelli; adesso l’aveva lì davanti e sentiva il corpo fremere, non sapeva nemmeno con quale forza ancora si stesse controllando.

Devo averla, ora, subito.

In tutta risposta la camicia di Kaine cadde sulla moquette azzurra, accompagnata da un sospiro.

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Novembre 2017, Anzola

Non era un granché come posto, Anzola dell’Emilia. Un comune non troppo distante da Bologna, ma che di fatto non risaltava per qualsivoglia peculiarità.
Un posto anonimo, per gente anonima.
Il luogo perfetto per un incontro discreto tra due individui discreti.
Kaine sapeva di giocare in casa quando, una settimana prima, aveva organizzato quell’uscita: il territorio era parte dei possedimenti del Gerofante, strappargli una concessione era più facile di bere un bicchier d’acqua.
In quei mesi, inoltre, se lo era lavorato bene quel Daeva superbo: lo aveva lusingato, molto più del solito, perpetrando la causa di suo fratello e promettendo più potere all’intero Circolo con accessi riservati al centro di Bologna, che al momento risultava chiuso a tutti i dannati, tranne agli Invincibili e Santificati.
L’occasione di poter toccare con mano i Nexus celati tra le mura della città era ghiotta e il Gerofante si era facilmente schierato dalla parte di Abel.
Il problema era che il Circolo della Megera non poteva sostenere da solo la causa del giovane Invictus: servivano altri supporti.
Kaine ne aveva parlato a lungo con il Daeva e, alla fine, erano giunti alla conclusione che avrebbero dovuto valutare la richiesta di quel piantagrane di Roccabrivio, che certo non si era fatto ripetere due volte l’invito in quel di Anzola.
Ce l’aveva lì davanti, con un’espressione trionfante sul volto, fastidioso come al suo solito e forse anche di più, visto che sapeva di avere un vantaggio su di lei.

“Dunque, Kaine” iniziò mentre camminavano in un vicoletto della città “Devo dedurre che mi abbiate contattato per parlare di ciò che vi ho chiesto da…mesi.”

Maledetto figlio di puttana, mette pure il dito nella piaga.

“Il Circolo ha discusso la vostra richiesta e, più precisamente, ne ho discusso con il Gerofante lungamente.”

Lui fece un sorrisetto sghembo. Non ci credeva, ma come biasimarlo? Neanche lei ci sarebbe cascata.

“Mettiamola così, megerita, voi siete qui perché volete propormi un accordo…questo per via del fatto che avete bisogno dell’Ordine del Drago.”

Doveva ammettere che non gli sfuggisse niente a quel dragone.

Bene, meno giri di parole e più fatti: le carte sono in tavola.

“Vedo che le voci circolano.”
“Noi del Terzo Stato parliamo molto.”

Le venne in mente il Prefetto del Movimento Cartiano, il Della Torre. Quei due agli elisei erano spesso vicini, non era così sorprendente che si fossero scambiati pareri su ciò che stava accadendo a Bologna: tafferugli in città, bande criminali che bazzicavano più frequentemente, forze dell’ordine che sembravano non rispondere, aggressioni di “strane bestie” durante la notte che in alcuni casi avevano portato alla morte di umani.
Monterumici aveva chiuso il centro della città credendo che il problema venisse da fuori, ma in realtà non aveva capito che la talpa era all’interno e stava lavorando bene, in sinergia con il Movimento Cartiano e la Lancea Sanctum.
Il Prefetto alla fine non aveva preteso un granchè: il presidio di un territorio, Val Samoggia e un posto nel Senato di Bologna, tutte cose che Abel gli aveva concesso.
Sull’accordo che suo fratello aveva preso con i Santificati non sapeva un granchè: ogni volta che provava a chiedere, lui sviava il discorso o generalizzava.
Sapeva bene che c’era qualcosa sotto e che probabilmente avrebbe leso l’intero Circolo, visto l’astio che intercorreva tra le due congreghe, alimentato dal tradimento di Federico d’Angiò, militante ufficialmente nella Lancea Sanctum e di nascosto nella Megera, oltre che da diversi culti e ideologie.
Lo avrebbe scoperto, eccome: conosceva il punto debole di Abel e lei, a differenza sua, ne era immune.
Nonostante questo covava un profondo risentimento quando pensava che si era portato a letto quella cretina della Vitiello, questo perché intuiva di non avere ‘l’esclusiva’ su di lui.

“Quindi…cosa mi offri, Kaine, per far sì che l’Ordine del Drago patteggi per l’ascesa di Abel Caracciolo al trono di Bologna?”

Quante scene, quanti teatrini. Vuoi solo sentirti dire ciò che desideri, Roccabrivio.

“Potrete entrare nel Cimitero dei Caduti di Sabbiuno.”

Lo disse tutto d’un fiato e le parole bruciarono sulle labbra.
L’altro alzò entrambe le sopracciglia in un’espressione fintamente sorpresa. Si portò una mano al petto e, enfatizzando il tono, replicò:

“Ma dai? Veramente? Quale onore.”

Riacquistò in un nanosecondo la serietà e la fissò con due occhi di brace.

“Pensate veramente di cavarvela così?” scosse seccamente la testa “Col cazzo, cocca. Vi dirò come andrà a finire questo incontro: di solito il mio intuito non sbaglia.”

Si fermarono entrambi, uno di fronte all’altro. Roccabrivio aveva perso la sua solita espressione da pazzo e ne aveva assunta una che non diceva niente di buono.

“Voi avete ricevuto probabilmente dei vantaggi dal caro futuro principe, entrambi sappiamo molto bene che interessano al Circolo ma anche all’Ordine. Quindi…”

Si avvicinò di un passo a lei, sovrastandola. Kaine fece un sibilo simile a quello di un gatto e un mezzo passo indietro incurvando le spalle.

“Quei vantaggi li vogliamo anche noi, e sapete cosa? Accetterete questa proposta, Kaine, perché in fondo sapete di aver bisogno di noi, per i vostri scopi. O forse volete che Marcus distrugga la vostra identità sociale?”

Lo fissò con due occhi di fiamme. Strinse i pugni lungo i fianchi fino a sbiancare le nocche, fremendo di rabbia.

Bastardo. Sei un grandissimo bastardo, Francesco Roccabrivio!

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Dicembre 2017, Bologna, Eliseo del Primo Stato.

La serata era piatta, questo perché il Principe non si era minimamente sforzato di creare dell’intrattenimento per gli altri dannati, che girovagavano per le stanze di palazzo Bocchi con sguardi persi e andature ciondolanti.
Gregorio Monterumici stava seduto sul suo trono, con le spalle leggermente incurvate per il peso del pesante mantello cobalto e una perenne espressione del volto che pareva suggerire che il reggente fosse pronto a inveire contro chiunque, il primo che gli fosse capitato a tiro.
Proprio per quest’aura grigia che aveva tutt’intorno parecchi gli stavano alla larga, chi aveva il coraggio o era costretto ad avvicinarsi, lo faceva con riverenza e circospezione. Lui, non appena sentiva la flebile voce di chicchessia provenire da uno dei due lati, sporgeva leggermente il capo in quella direzione tendendo l’orecchio; non s’azzardava a perdere la visuale d’insieme che aveva nella stanza e, guardando distrattamente un punto del grande portone di legno di fronte, annuiva lentamente alle parole che gli venivano dette.
Abel, dal suo tavolino in fondo alla sala, lo stava osservando da una decina di minuti in un modo che avrebbe potuto ricordare un cecchino pronto a sparare sulla sua vittima.

Povero Monterumici. In cinque mesi ho fatto terra bruciata intorno a te: tutta la città ti considera un incapace.

Gli occhi cerulei si spostarono sui Grifoni ai lati del trono. Non era riuscito ad averli tutti dalla sua parte, ma ciò di cui era certo era che anche tra le loro fila, c’era qualcuno che dubitava del Principe, un Gangrel come loro!
Era soddisfatto. Aveva fatto un bel lavoro, molte erano le voci di malcontento tra gli alti vertici dell’Invictus e alcuni di questi appoggiavano la sua causa: i semi della discordia da lui piantati stavano dando finalmente i loro frutti.
Con Kaine che si era adoperata per unificare tutto il Terzo Stato sotto il suo vessillo, Abel sapeva di avere quel trono in tasca, già sentiva il velluto morbido sotto le natiche e i complimenti di Marcus.

E’ questione di tempo.

Più tardi…

“Cittadini” la voce roca del Principe ridestò tutti e fece avvicinare quelli più lontani “La notte sta per finire, ma prima di congedarvi, ho un annuncio da fare.”

Si alzò dal trono e fece qualche passo per mettersi al centro del cerchio di persone che si era formato.

“Da alcune notti sono venuto a conoscenza di un fatto che mi ha colpito nel profondo. Un tradimento, che si è consumato nelle stesse fila dell’Invictus.”

Abel e il Monterumici si squadrarono a lungo. Alle spalle del Principe, Gustavo Mallari e Giulia Geremei sogghignavano, trionfanti.

Qualcuno deve aver cantato, maledizione.

“Abel Caracciolo. O Abel e basta? Mi dicono che non siate un vero discendente della famiglia.”

Gli ringhiò contro e lui di rimando, finendo con una risata sonora.

“Volevate giocare a fare il Principe, bastardo che non siete altro, mh? Avete sbagliato. Oh eccome…ma potete redimervi. Sì, tutti potete redimervi. Inchinatevi qui, davanti a me. Giuratemi fedeltà e potrei soprassedere.”

Tacque. Calò un silenzio elettrostatico, uno di quelli in cui la tensione si sarebbe potuta toccare con mano.
Era arrivato a quel punto e non voleva, non poteva mollare adesso. Eppure il rischio era alto: era veramente certo che la cittadinanza fosse dalla sua? Kaine poteva aver mentito per spronarlo a continuare questa folle crociata o peggio, forse pensava di poterlo manovrare e soppiantare al momento opportuno.
Alzò il mento e, con tono solenne, sentenziò:

“Un Ventrue non s’inghinocchia, mai. Un Ventrue non rinuncia mai al potere. Io non vi seguirò mai, Monterumici: io sono un Re, voi una Bestia.”

Il Principe ringhiò ancora, stavolta più forte e più selvaggiamente. Poi, con un odio indescrivibile negli occhi, lo fulminò, forse sperando di incenerirlo.

“Bene, Caracciolo!” tuonò “Da questa notte, quando metterete piede fuori da questo eliseo, voi sarete cacciato di sangue e con voi tutti coloro che vi seguiranno!”

Subito dopo accadde una cosa strana. Progressivamente tutte le congreghe si affiancarono al giovane Invictus: il Circolo guidato dal Gerofante e Kaine, l’Ordine del Drago con in testa il Roccabrivio, il Movimento Cartiano e il Prefetto Della Torre, la Lancea Sanctum con Eleonora Vitiello; tra le fila di Abel comparvero anche degli isolati Invincibili, Grifoni e discendenti di quelle famiglie altolocate che gli avevano garantito un appoggio.
Al Monterumici rimanevano il Mallari, la famiglia Geremei e qualche pugno di Gangrel.

“Volete cacciarci tutti, Monterumici?” sbottò Kaine, seguita da una risata profonda del Roccabrivio.

Abel prese più forza e coraggio dal suo numeroso schieramento e, facendo un passo avanti, impettito e tronfio, si rivolse al Selvaggio furente.

“Guardate, Gregorio” allargò un braccio verso la sua armata “Chi è che sta giocando, adesso? Finiamola civilmente, come si confà a nobili del Primo Stato. Accettate la sconfitta e lasciate la corona: avete perso.”

Io sono il Principe. IO!

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Gennaio 2017, inizio del mese, rifugio dei Megeriti

“Kaine!”

Selenia Santi entrò trafelata nella stanza della Ventrue, interrompendo l’atto del disegno di un cerchio rituale che a una prima occhiata sembrava abbastanza intricato.
La sciamana fece un ringhio basso e, alzando il pennello da terra, ruotò di scatto la testa verso l’altra, incontrandone lo sguardo allarmato.
Inarcò un sopracciglio. Conosceva bene quella vampira, una composta Mekhet che difficilmente perdeva la calma: il fatto che ora fosse dinanzi a lei con quella faccia non presagiva nulla di buono.

“Parlate.”

La vide cercare le parole e balbettare qualcosa sul Monterumici.

La questione deve esser proprio seria.

“Selenia, riprendetevi, non riesco a capirvi.”
“Vostro fratello, Kaine. Il suo rifugio è stato distrutto!”

La donna si paralizzò al centro del cerchio di sangue e fissò il vuoto, atterrita.

No. No, no, NO!

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Qualche giorno dopo, in un hotel di periferia.

Camera 207, ore 22.

Aveva riletto il messaggio del Prefetto Cartiano più volte, anche nell’ascensore che la stava portando al secondo piano di quella catapecchia che qualcuno aveva il coraggio di chiamare ‘hotel’.
Dal momento in cui le porte scorrevoli si aprirono a quando vide la targhetta con il numero 207, passò un attimo.
Bussò energicamente.
Da dentro sentirono dei passi ovattati che si fermarono di fronte alla porta. Un rumore metallico provenne dalla serratura e con uno scatto si trovò di fronte il Prefetto Della Torre che la fece entrare solo dopo aver controllato che non ci fosse nessuno.
Nella stanza, sdraiato su un letto, legato e imbavagliato, c’era un uomo di quarant’anni con indosso una divisa da ufficiale militare.
Su una poltrona, in un angolo vicino alla finestra, sedeva Abel.
Lo guardò perlustrandone ogni centimetro: seppur il Prefetto le avesse detto che era riuscito a salvarlo dall’attacco, lei non ci aveva creduto; tutt’ora sentiva il bisogno di sincerarsi che, effettivamente, suo fratello non fosse divenuto cenere con l’attacco al suo rifugio.

“Sono qui, Kaine.” Disse, accennando un sorriso “E lo devo all’intervento del Prefetto.”

“Diciamo che il mio Mekhet di fiducia mi ha informato molto celermente” aggiunse il Della Torre “I miei uomini hanno fatto il resto.”

“Monterumici non ha accettato la sconfitta e crede di aver vinto. Tutta la vicenda per i media è dovuta a una fuga di gas che ha ucciso diverse persone. I miei alleati…”

Si adombrò e tacque. Kaine annuì lentamente e spostò l’attenzione sull’uomo imbavagliato. Inarcò un sopracciglio e attese spiegazioni che non tardarono ad arrivare:

“Lui? E’ il capo ufficiale delle armate del figlio di puttana.” Della Torre si avvicinò al letto per guardare la preda “L’ho acciuffato giusto poche ore fa. Mi son detto: magari può esserci utile, da quel che so, è culo e camicia con Monterumici.  Potremo interrogarlo e…”

“No.”

I due uomini la guardarono interrogativi.

“Basta la mano leggera, qui dobbiamo rispondere al fuoco con il fuoco.”

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Ore 00.30

Il capo ufficiale entrò con la sua auto dal grande vialone alberato che lo avrebbe portato alla caserma militare. Con un cenno rapido salutò i due cadetti di guardia all’ingresso dell’atrio e scese le scale verso i piani inferiori, quelli sottoterra.

Quarta stanza, in fondo.

O almeno così aveva detto quando il Prefetto Della Torre aveva usato il potere della Dominazione su quell’uomo per farsi dire dove dimorasse il Monterumici.
Il riflesso del vetro posto a protezione una mappa militare restituì l’immagine del capo ufficiale, capelli brizzolati e rughe sul volto attorno agli occhi e tante spillette di riconoscimento al petto.
Fece un ghigno e l’espressione dell’uomo si macchiò di una malvagità che non era propria di un essere umano ma che era sua, solo sua: Kaine Caracciolo.
Quel potere particolare della Dominazione era affascinante; non aveva mai avuto l’occasione di provarlo, quella era la prima volta e per questo si stava esaltando.

Posso essere chiunque…ma rimanere sempre me stessa.

L’unica pecca era che il suo vero corpo cadesse in uno stato di catalessi ed era molto, molto vulnerabile: al suo fianco in quel momento c’era Abel, sapeva di non correre rischi.
In ogni caso, eccola lì nel covo del Monterumici: nessuno le aveva detto una parola, questo perché nessuno sospettava che il capo ufficiale, o meglio, la sua volontà, fosse sopita nel corpo di una donna e che questa avesse preso il suo posto nella sua testa.
Trovò l’ex Principe dove le era stato detto, seduto a una scrivania di fronte a un computer che gli illuminava le occhiaie e il colorito pallido.
Dall’interrogatorio non era venuto fuori solo il luogo in cui dormiva ma anche un dettaglio particolare, abbastanza utile per far perdere del tempo a chiunque.

Si va in scena.

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Ore 6,30

Aprì gli occhi come se non si fosse mai addormentata. Si levò delicatamente un braccio di Gregorio dal fianco e scivolò via dal letto, camminando in punta di piedi.
Prima di mettersi a lavoro lo guardò, sdraiato e addormentato profondamente.

Ti sei divertito per l’ultima notte, sodomita.

Doveva far presto, a breve sarebbe sorto il sole e il suo corpo l’avrebbe reclamata.
Si rivestì e tornò all’auto del capo ufficiale per tirare fuori due taniche color petrolio. Stappandone una, respirò a pieni polmoni l’odore inebriante della vittoria.

Benzina.

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Gennaio 2017, Bologna, Eliseo.

“Inginocchiatevi o sarete cacciati di sangue da tutta la cittadinanza.”

Dall’alto del suo trono, il Principe scrutava freddamente i due dannati, un uomo e una donna che, meccanicamente, si prostrarono.

Ricorderò questo giorno per l’eternità.

Gustavo Mallari e Giulia Geremei erano inginocchiati di fronte ad Abel, che si lasciò sfuggire un sorrisetto compiaciuto.
Lei gli fece eco: avevano vinto.
Monterumici era morto in un tragico incidente con il fuoco: il suo stesso seguace, il capo ufficiale, aveva appiccato l’incendio e poi si era suicidato con mix di farmaci.
Tra i dannati si era diffusa la voce che avesse scoperto l’identità del suo amante ma che fosse incapace di vivere senza di lui: tutto risolto, tutto spiegato, con qualche Daeva sognante che aveva sospirato per la fine dei due, non tanto per il Monterumici, ma per l’amore li univa.

Cazzate.

La verità la sapevano in pochi, lì dentro. Lei, Abel e il Prefetto Cartiano, che si era guadagnato la sua fiducia e un posto al fianco del neo Principe.
Incrociò lo sguardo ceruleo di suo fratello, dall’alto del suo trono.

Siamo solo all’inizio, pensò la Megerita.

Avevano conquistato una città, ma ce l’avrebbero fatta a mantenerla?

Guardò il Gerofante e poi di nuovo Abel.
Lo vide inclinare il capo e accennare a un mezzo sorrisetto.

Esatto, fratellino. Io sarò la nuova Gerofante e tu mi aiuterai…perché altrimenti ti distruggerò, colpendoti dove meno te lo aspetti.