Lunga Notte – Parte 2

Bentornati! Oggi proseguono le vicende di Yulia Stukov, investigatrice che si trova a dovere affrontare la sparizione di un bambino la cui storia ha fin troppe analogie con il passato della ragazza…
Per chi avesse perso la prima parte del racconto (molto male!) può trovarla qui.

Ore Ventitre.

“Buonasera. Sono Abram Potarov”

A Yulia, Abram ricorda una montagna: alta e forte, dalle cui vette emana la fierezza di chi, nonostante tutto, è sopravvissuto alle tempeste.
Ma nessuna montagna è mai stata abbattuta dalle tempeste: è il vento ad eroderle. E quest’uomo è stato eroso lentamente, durante notti passate con una mano pronta sulla cornetta del telefono e l’altra sul rosario che ora porta al collo. Gli occhi sono gli unici testimoni di una tragedia che si protrae ormai da troppi atti… ed in essi, si riflette un mondo intero.
Derubato della sua fanciullezza.

“Prego, si accomodi”

Alla ragazza viene indicato un soggiorno, così umile da suscitare subito tenerezza. La signora Potarov è seduta sul divano, ma la fissa come se la stesse attendendo da tutta la sera. E’ vestita bene e, nonostante anche nei suoi occhi cerulei si leggano cicatrici, nella sua posa vi è una dignità che al marito è venuta meno.
Le donne sono sempre le più forti, specie se si tratta dei figli.

“Buonasera, miss…”

“Stukov. Yulia Stukov”

La donna sforza un sorriso.

“Non dovrebbe essere Stukova…?”

“… e pensavamo di chiamarla Yulia. Che ne dici, papà?”

“Da, è un bel nome… tua madre sarebbe così felice di tenerla tra le braccia…”

“Fallo tu per lei, allora”

Alexei Stukov sorregge per la prima volta quel piccolo involto, nel quale riposa un’ancor più piccola creatura. Gli hanno detto che è sua nipote, ma lui ancora ne dubita.
Come può qualcosa di così bello avere lo stesso sangue di un mostro come lui?

“Niente patronimico, per lei”

“… papà?”

“Mi hai sentito, Dimitri. Yulia avrà il tuo cognome, come si fa qui in Occidente.
Tua figlia è il futuro della nostra famiglia… e voglio che sia un futuro libero dalle ombre del passato.
Libero dal mio passato”

“I miei genitori hanno preferito darmi il cognome secondo le usanze occidentali”

La donna annuisce, mentre senza colpa la guarda come la figlia che non ha mai avuto, ed il figlio il cui ricordo è tutto ciò che ancora la spinge a credere.
Il silenzio si protrae oltre il consentito, iniziando ad invischiare l’investigatrice in una ragnatela di sguardi e ricordi da cui sarebbe impossibile fuggire. Per amore o per forza, la ragazza è costretta a correre ai ripari.

“Ho appreso della vostra tragedia… e vorrei aiutarvi. Sono un’investigatrice, alle prime armi è vero, ma…”

“… non abbiamo nulla da perdere, giusto?”

Yulia vorrebbe risponderle, prenderle le mani e gridarle che suo figlio è ancora vivo, che è là fuori da qualche parte e che lei glielo restituirà.
Ma entrambe conoscono il mondo, ed il mondo conosce loro. Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, il silenzio è sempre stato un valido sudario.

“Le dirò ciò che ho detto anche alla polizia, miss Stukov, confidando che almeno lei mi creda.
Siamo una famiglia semplice. Emigrati da Mosca, cittadini inglesi, abbiamo onesti lavori ed oneste vite. Non abbiamo mai fatto torto a nessuno qui, e nessuno ha motivo di volerci male, per quanto potremmo dirle.
Abbiamo cresciuto Alan con ogni nostra forza, lui era tutto per noi. E’ un ragazzo meraviglioso, diligente a scuola e che non ha mai litigato con nessuno dei suoi coetanei. Si trovavano tutti i pomeriggi a giocare nel parco qui vicino, senza infastidire nessuno nel quartiere…
Chi mai farebbe una cosa del genere, miss Stukov? E’ solo un bambino… il mio bambino…”

La ragazza smette di trascrivere, quando le lacrime iniziano a scorrere sul volto della madre. Debolmente, una mano viene sollevata per consolare, ma il marito la ferma.

“Miss… sono giorni che riceviamo compassione. Ma né lei né gli altri ci ridarete Alan con la compassione. Ci aiuti, miss Stukov. Ci aiuti davvero”

La ragazza annuisce, il ragno invisibile torna a tessere la sua silenziosa tela: non c’è altro che debba essere detto in quella stanza.

Piove ancora. Piove su tutti, e questa è l’unica giustizia che York ha conosciuto questa notte.
I passi dell’investigatrice sembrano sospesi, sul marciapiede. Sono confusi, persi, proprio come i pensieri che li muovono.

“Non mi aspettavo qualcosa di facile, ma… Cristo… qui non ho nulla in mano! Quel ragazzo potrebbe essere finito ovunque… basterebbe un qualsiasi pervertito agli angoli di una via e non lo troverebbe mai più nessuno…
Cazzo, sto iniziando a ragionare come Patrick…”

Poi, i suoi passi non risuonano più sul selciato, ma sul terreno impregnato d’acqua. Un parco, quello in cui Alan passava le sue giornate in compagnia degli amici, almeno a detta dei genitori.
E per quanto Yulia sia pronta a credere loro, i ragazzini intenti a parlare sotto una tettoia… e fumare, a giudicare dal balenare degli accendini… rappresentano l’unico appiglio possibile per seguire le orme di Alan Potarov.

Ma come?

Ore Ventitre e Trenta.

Il parco è vasto, e Yulia si ritrova a percorrere stretti sentieri cinti da alte siepi, molto più alte di quanto le fossero sembrate solo un istante fa, sotto la rassicurante luce dei lampioni stradali.

Luce che ormai è solo un ricordo, nel parco in cui l’unico riferimento dell’investigatrice rimane il flebile bagliore di una sigaretta giunta ai suoi ultimi respiri.

Inconsciamente, Yulia accelera il passo. Se quella sigaretta si spegnerà, lei sarà al buio, da sola.

Ancora una volta.

La pioggia cadeva da nuvole più nere della notte, come se si stessero specchiando negli abiti delle poche persone riunite in quel giorno di lutto. Ma nessuno avrebbe potuto confermarlo, perché tutti guardavano in basso, su quelle due tombe vuote e su quei due epitaffi con foto recenti, troppo recenti per essere costrette a giacere lì.
Poi, il parroco concluse la cerimonia. Solo in quel momento Yulia sollevò lo sguardo, lasciando che le lacrime del cielo abbracciassero le sue, trovando reciproco conforto.

“Anche il cielo piange per noi, oggi”

Era stato suo zio Boris a parlare. Era più vicino a lei di quanto ricordasse, e probabilmente più di quanto era mai stato per tutta la sua vita: Boris Stukov viveva in Inghilterra da molto più tempo di suo fratello, eppure non aveva mai badato molto alla ritrovata famiglia.
“Non sarebbe stato un buon soldato”
commentava sempre suo nonno.

Ma non oggi. Oggi, Alexei Stukov era in piedi davanti alle tombe, e nei suoi occhi si poteva quasi toccare l’ardente desiderio di trovarsi in una di esse al posto dei loro occupanti.
Yulia si avvicinò a suo nonno. Come un tempo, egli era molto più alto di lei, con spalle ampie e forti come quelle di un orso, la barba dal taglio militare canuta ma autorevole.
“Duro e onesto come l’inverno”
diceva sempre suo padre quando ne parlava.

Ma l’uomo a cui Yulia prese la mano non era più l’Alexei Stukov che conosceva. La schiena era piegata per il peso giunto troppo improvvisamente; la barba diventata più bianca, come se l’inverno fosse infine giunto davvero e non avesse avuto pietà nemmeno del suo Generale, come aveva amato chiamarlo fin da piccola.
Per quel motivo, la ragazza aveva già pianto tutte le sue lacrime per i suoi genitori. Tante ed amare, Dio solo sapeva quanto. Ma ora doveva occuparsi di chi era rimasto. Questo avrebbe fatto un buon soldato, e Yulia lo sapeva. Dire quelle parole fu più difficile di ogni cosa fatta nella sua vita, ma da qualche parte riuscì a trovarne le forze.

“Ora riposano in pace, insieme. E la polizia troverà chi ha fatto questo e ci sarà resa giustizia”

A quelle poche parole, Alexei si voltò, e la fissò. La sua Yulia. Quanto era cresciuta, e così in fretta. Non più una bambina, ma una bellissima ragazza, quasi una donna, capace di confortare un uomo perfino dinanzi alla tomba di suo figlio.
Lui invece… Alexei scosse il capo.

“Sono troppo vecchio, Yulia. E troppo stanco per combattere ancora”

“Nonno, non ti abbattere. Loro non lo avrebbero voluto… e neanche io. Tu sei tutto ciò che mi resta… ti prego…”

Il tono era implorante, la mano che lo stringeva tremava. Ma nulla di tutto ciò basto.
Lentamente, inesorabilmente, Yulia vide Alexei Stukov piangere, per la prima volta nella sua vita.

Ed in quel momento, ella seppe che il suo Generale era stato seppellito assieme ai suoi genitori.

Una mano la afferra per il polso.
Yulia grida, anche se nessuno potrà sentirla. Grida, perchè null’altro potrebbe essere fatto.
Ma la mano si ritrae subito.

“Oddio non gridare, non volevo…!”

Il ragazzo che le sta dinanzi è giovane, non può avere più di sedici anni, ed è certamente più spaventato di lei.
Come dargli torto.
Le servono diversi minuti per calmarsi, scacciando i fantasmi del passato e le ombre del presente.

“Va meglio…?”

“Sì… grazie. Soffro di autofobia, e quando rimango da sola in luoghi isolati… mi capita di perdere il controllo”

“Ah… wow. Ma… se hai questo problema, perchè sei qui?”

“Perchè non so dove altro cercare Alan”

Ma una risposta del genere non sarebbe stata per nulla professionale.

“Perchè sono un’investigatrice privata e sto conducendo un’indagine”

“… Alan, vero?”

“Lo conoscevi?”

“In questo quartiere ci conosciamo tutti. E Alan era… uno a posto”

Yulia coglie il tentennamento in quella risposta. E per quanto sia grata al ragazzino di averla strappata dalla sua fobia, Alan non può permettersi altre esitazioni.

“Come ti chiami?”

“… devo tornare a casa, miss, è molto tardi”

“Perfetto. Ti accompagno, così parlerò direttamente con i tuoi genitori”

Tanto basta a bloccarlo sul posto. Nei suoi occhi si vede il primo cedimento, ed è lì che Yulia deve colpire di nuovo.

“Meglio non coinvolgerli, eh? Lo immaginavo. Non sono la polizia… mi serve solo sapere del tuo amico. Qualsiasi altra cosa rimarrà tra me e te. Promesso.
Devi aiutarmi. Ne va della sua vita”

Il colpo di grazia, sferrato con inaspettata eleganza. Con la siepe a coprirla da sguardi indiscreti e con la pioggia a lavare via i sensi di colpa, la verità infine si schiude.
Ed è una luce che acceca.

“Alan…”

[Continua…]
Luca Tirelli
Gruppo letterario Camarilla Italia

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