Lunga Notte – Parte 1

“Lunga notte”, come ci si saluta dalle parti del Mondo di Tenebra. Mi chiamo Luca e sono anche io un collaboratore di Camarilla Italia per Torre Nera.

Gioco di ruolo da diversi anni, soprattutto come DM o Narratore. Ho sempre pensato che il gioco di ruolo sia anche e soprattutto un’occasione per raccontare una storia. Da qui la mia idea per la collaborazione: un racconto a puntate, dedicato alle tematiche che caratterizzano il Mondo di Tenebra che è il cuore del gioco di Camarilla Italia.
I “devoti” alla lettera del manuale che sanno di cosa parlo mi scuseranno alcune libertà che mi sono concesso, ma quando si parla di Mondo di Tenebra l’importante (ed il difficile) è trasmettere quella sensazione di angoscia e disperazione che permea il mondo in modo sottile ma onnipresente. Si entra in un’ambientazione che non solo vuole farci divertire, ma che è anche capace di farci riflettere.
Ed è quello che nel mio piccolo cercherò di fare!

Ringrazio dell’occasione e spero vi divertirete a leggere questa storia quanto io mi diverto a scriverla! Buona lettura!

Ore Ventidue.

Piove, a York.
Innumerevoli vite scivolano sulle strade della città, proprio come le gocce di pioggia sugli impermeabili, sugli ombrelli e sui volti. Anonime, senza peso e forse senza nemmeno una meta.

“Dovresti smetterla con questi pensieri”

Yulia sorride da dietro la vetrina, richiamata all’ordine da uno dei tanti discorsi interiori che si concede come piccolo, innocuo vizio. Una piccola parentesi di follia in un mondo che ha ormai perso il lume della ragione: non passa giorno che al pubblico non venga fornita l’ordinaria dose di scandali, sesso e omicidi. E se la morte diviene ordinaria, non resta che vivere nello straordinario, per la felicità degli spacciatori agli angoli delle strade.

“In queste circostanze, devo avere avuto l’idea migliore del mondo…
… o la più stupida”

Questa volta è il rumore delle strade a distoglierla dai suoi pensieri, intrufolatosi nel pub grazie alla porta che viene aperta. Un ragazzo fa il suo ingresso, rivolgendo un sorriso colpevole a Yulia.

“Sono in ritardo”

“L’ho notato, Patrick. Un’ora”

“… non era alle nove e mezza?”

“Nove in punto”

Il giovane giornalista tira un grosso sospiro. Finalmente una serata con quella favolosa ragazza, e si presenta in ritardo di un’ora. Se l’inferno esiste, deve assomigliare al pub in cui si trovano ora.
Per fortuna, Patrick Swann ha sempre una via d’uscita. Perfino dall’inferno. E quindi sorride, quel sorriso che ormai Yulia ha imparato a riconoscere.

“Stai per provare a stupirmi, vero?”

“Ho mai fallito?”

“Devo rispondere davvero?”

Il ragazzo scoppia a ridere, poi si fa improvvisamente più serio. Lo è sempre, quando si tratta del lavoro che ama più di ogni altra cosa. Anche più di lei, la ragazza non si fa illusione alcuna.

“Meglio di no… piuttosto, come va la tua agenzia investigativa? Hai trovato qualche lavoro?”

Eccola, l’idea del secolo. Peccato poi realizzare che, in un mondo di lupi, pochi abbiano bisogno di un cane pastore, specie se questa ha più l’aspetto di un agnello.

“No, sono ancora felicemente disoccupata”

“Lo immaginavo. Ma non temere. Si dà il caso che abbia una notizia che potrebbe interessarti…”

La ragazza inarca un sopracciglio, con quegli occhi castani dietro i quali combattono tenacemente curiosità e diffidenza. E se anche Patrick ha imparato a conoscerla, sa già a chi andranno gli allori.

“Sentiamo…”

Il giornalista sorride, vittorioso, e con gesto consumato recupera alcune foto dalla sua borsa. E con il tono del cospiratore, inizia a raccontare.

“E’ sparito un ragazzo. So che ne spariscono tanti, ormai, ma questo non è come gli altri.

Si chiama Alan, Alan Potarov…”

“Sembra russo…”

“Lo è. Per questo ho pensato a te, miss Stukov. Ma non interrompermi, per favore…”

Silenzio, condito da uno sguardo piccato. Ma il racconto prosegue comunque.

“Come hai brillantemente dedotto, detective, è di origini russe. I genitori sono arrivati in Inghilterra venti anni fa, ma lui è nato e cresciuto qui, a York.
Sta di fatto che i Potarov sono una famiglia assolutamente normale: non nuotano nell’oro ma non sono neppure alla canna del gas. Entrambi lavoratori, e lui figlio unico.

Insomma, Alan non è né un ragazzino di strada della cui mancanza nessuno se ne accorgerà, né il rampollo del magnate a cui chiedere il riscatto milionario.
E quindi… che fine ha fatto Alan Potarov?”

A fatica, Yulia trattiene le sue mille domande, permettendo solo a quella più altezzosa di emergere.

“Sì, sembra interessante. Ma io cosa c’entro?”

“Ah, non me la dai a bere, mia cara. La Yulia che conosco io non permetterebbe mai una simile ingiustizia su un innocente. Specie se quell’innocente ha una storia che somiglia tanto alla tua…”

Un sospiro è tutto ciò con cui la ragazza riesce a rispondergli. Deve ammetterlo, anche questa volta Patrick è riuscito a stupirla. Forse un po’ troppo per una sola notte di pioggia.

“E poi, un pò di pubblicità potrebbe sempre farti comodo, no? Le Due Rose devono pure fiorire, ma da sole non ce la faranno mai”

“E’ sparito un bambino, Patrick. Non è un gioco, nè tantomeno un regalo da farmi per scusarti. E’ una cosa grave, non capisci?”

Il ragazzo scuote la testa, esasperato.

“Lo capisco benissimo… ho l’intenzione di scriverci un pezzo per il giornale, e farmi notare dal capo. E’ la nostra occasione per uscire dalla strada e farci un nome! Dobbiamo solo aiutarci a vicenda e…”

“Mi stai usando?!”

Senza nemmeno rendersene conto, la ragazza è in piedi, il tono di voce decisamente più elevato di quanto sia consuetudine in quell’anonimo pub: gli inopportuni occhi di tanti giovani invecchiati li seguono con poca discrezione, ridendo delle disgrazie amorose del giornalista.

“Yulia, calmati…”

“Sei un verme, Patrick. Come tutti gli altri in questa città di merda!”

La porta del pub si riapre poco dopo. Yulia è fuori, per strada. La pioggia ancora cade, la città è ancora marcia e Patrick non ha motivo di fare eccezione.
Tutto prosegue così come è iniziato.

Ore Ventidue e Trenta.

Un passo dopo l’altro, la pioggia batte al tempo del cuore della ragazza.

“Hai voluto crederci troppo ed hai scoperto il fianco… cos’altro ti aspettavi?”

Ma Yulia è caparbia, dote di famiglia, e non ha intenzione di concedere a quel mondo che tanto disprezza, e dal quale pare venire cortesemente ricambiata, neppure una singola soddisfazione: solo il cielo piangerà, questa notte.
E Alan Potarov verrà ritrovato, dovesse venire scoperchiato l’inferno. In attesa di un taxi, l’investigatrice recupera il suo cellulare, digitando il primo numero in memoria.
E’ ora di mettere in campo l’altra Rosa.

“Chi cazzo…?”

“Sono io, Jane… ti sei appena svegliata, vero…?”

“Ah, boss! Sì, sai, ieri sera quel bastardo di Jim ha portato della nuova roba! Cazzo, una cosa incredibile, ci siamo…”

Cara Jane. Sboccata, rude e probabilmente con un debole per il suo “boss”, nomignolo che dopo tanto fastidio è infine riuscito ad ammorbidire l’austero volto della giovane investigatrice.
Senza contare che, se si tratta di conoscere la persona sbagliata, Jane è la donna giusta. Nè potrebbe essere diversamente, dati gli infiniti vizi in cui ella sembra riuscire ad indulgere, spesso contemporaneamente.
Come vi riesca, è una di quelle pochissime domande a cui Yulia non vuole trovare risposta.

“… non voglio saperne nulla, lo sai. Ti ho chiamata perchè abbiamo un lavoro”

“Mi prendi per il culo, boss?”

“Ti sembro tipo? Trovami tutto quello che puoi sulla famiglia Potarov. E’ qui a York, origini russe…”

“Ehi, come te…”

“… e vedi di darti una mossa. Non sono dell’umore stasera”

“Ah, com’è andata con quel fighetto di Patrick?! Te lo sei….”

Il cellulare viene richiuso bruscamente, il taxi è arrivato. Il conducente si lascia sfuggire un fischio, ma lo sguardo della ragazza è sufficiente a riportarlo ad un’esemplare professionalità.

“Dove la porto, miss…?”

“… un attimo solo”

Il cellulare vibra un’altra volta, insistendo per ricevere le attenzioni negate. Ma non è una chiamata questa volta, bensì un messaggio.

“5 Newton Terrace.
Scusa.
Patrick”

“Stronzo. Ora mi sento pure in colpa, e lo sa benissimo”

“Mi porti al numero 5 di Newton Terrace, grazie”

La città diventa uno scorrere di luci sotto ai suoi occhi, troppo veloci per potersi soffermare sui tanti, piccoli episodi di banale umanità che ne anneriscono lo splendore. Il viaggio si trasforma in un momento di solitudine tanto desiderato e, come tutte le chimere, inseguito solo per trovarvi l’amara delusione.
In questo caso, nella forma di una gracchiante radio.

“… tre cadaveri rivenuti a Deangate, un’intera famiglia. Sembra che il padre sia impazzito e prima di suicidarsi abbia…
… ancora nessuna pista per l’incendio doloso dell’Hotel Astoria…
… un regolamento di conti tra trafficanti, è il giudizio delle forze dell’ordine…”

“Scusi… potrebbe spegnere la radio…?”

“Taxi mio, radio mia, principessa. E comunque, siamo quasi arrivati”

I fanali ora illuminano una via riservata, che qualcuno potrebbe definire tipicamente inglese: case a schiera disposte con cura dietro anonimi giardinetti, come se volessero nascondersi da ciò che le strade tentano di gettare loro addosso.
Vano tentativo.

Pagato l’antipatico taxista, Yulia è nuovamente sotto la pioggia che, questa volta, non batte più al tempo del suo cuore, ma ad un tempo molto più difficile da scandire.
Quello dei ricordi.

Era una via molto simile. Piccola, confortevole. Accogliente. Non c’era bisogno di altro, per una famiglia che volesse ricominciare da zero.
L’uomo più anziano scese per primo dal taxi, guardandosi intorno con gli occhi di chi ancora non riusciva a dimenticare ciò che era stato abbandonato… e forse perfino tradito… dietro di sè.
Subito dopo, venne seguito da un uomo più giovane, suo figlio, con molte meno attenzioni per il passato e molte più preoccupazioni per il futuro.
Futuro che scese dal taxi nella dolce forma di sua moglie, in attesa di una bambina.

Un sibilo di vento tra i capelli restituisce Yulia alla più cupa realtà. Il numero 5 di Newton Terrace è infine dinanzi a lei.
Un passo, e poi un altro.
Le luci sono ancora accese dietro le finestre, e come non potrebbero? Chi mai riuscirebbe a dormire, con il proprio figlio disperso in quell’inferno a cielo aperto che è York?
Un passo, e poi un altro.

“Ci siamo, detective. E’ il tuo grande… debutto”

Il campanello viene suonato. Una voce maschile risponde dal citofono, tremolante a causa dell’apparecchio… o forse di troppe notti passati insonni.

“Chi è?”

“Buonasera, mister Potarov. Sono Yulia Stukov…”

“Mi scusi, ma non so chi lei sia…”

“… vorrei aiutarla per il caso di Alan. Sono un’investigatrice privata”

Una lunga attesa… poi, l’unica risposta che arriva è il rumore della serratura del cancelletto.
La porta d’ingresso si apre, e la figura di un uomo le fa cenno di entrare.

[Continua…]

Luca Tirelli

 

2 commenti su “Lunga Notte – Parte 1”

I commenti sono chiusi.