FACILIS DESCENSUM AVERNI – 03 – Ciò che non uccide

Benvenuti o bentornati! Quest’anno, per la collaborazione tra le due associazioni Camarilla Italia e Torre Nera, vi propongo un progetto di una storia a puntate, iniziata a gennaio, libera interpretazione delle tematiche del Mondo di Tenebra (ambientazione di alcuni dei giochi di ruolo della casa editrice White Wolf).

Un esperimento, anche per me, che spero possa intrattenere.

Buona lettura!

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Una mattina galleggio nel vuoto, espiando le mie colpe tra le strade, sotto il sole cocente. Mi illudo di poter correre, lontano dagli incubi, ma ad ogni passo loro mi raggiungono, fino a superarmi e sbattermi in faccia l’illusione della via di scampo. Potrei andare ovunque, invece mi accorgo di non avere mai una mia meta.

A condurmi è il valzer orchestrato da lui, che senza darmi dettagli mi dice cosa fare in sua assenza. Richieste, ordini, obblighi, violenze. Ognuno pesa come un macigno, nelle vene, nella bocca, nel cuore.

Lui crede sia un gioco. L’avevo percepito col tempo, notte dopo notte, specchiandomi nei suoi occhi spenti, spezzato dai sorrisi sarcastici, bramando le labbra incurvate verso l’alto. Sarei partito proprio da quelle, per poi passare al collo, alle spalle, al petto. Deglutisco, assaporando la sensazione fantastica di ogni singolo morso. Il sangue che ne sgorga mi scende in gola, bruciando, fino allo stomaco sterile rinvigorendo le ossa. Lascio che le gocce percorrano il collo fino al petto, per poi catturarle con le dita e assaporarle. Non deve essere sprecato nulla.

Poi, quando riapro gli occhi per guardare con falsa riconoscenza il mio aguzzino, mi ricordo che è tutta un’illusione. Non ricordo più quando è stata l’ultima volta che mi ha permesso davvero di farlo. Cosa devo compiere, per avere un po’ di sollievo?

Cammino, annaspando sempre più. La gente mi concede uno sguardo, prima di scansarsi e proseguire oltre. Mormorano, additano. Ma poi dimenticano.

Per loro sono un drogatodimerda. Avrei preferito.

Sto attento a non barcollare troppo e, anche se la vista è sempre più annebbiata, devo dare una parvenza di normalità. Bisogna essere credibili nella propria pazzia, per essere ignorati. Un rivolo di saliva mi cola dal labbro; sputo a terra, mi pulisco con un lembo della giacca. Questo, però, contribuisce a rendere la bocca impastata e farmi incazzare ancora di più.

Penso al lavoro, sono quasi arrivato.

La stazione è piccola, sporca. Puzza di cibo e fumo, odora di persone dalle origini sconosciute, ma differenti. C’è chi si copre il naso e la bocca con la mano, per trattenere i conati.

Mi dirigo verso uno stanzino, poco distante dai binari. Non entro, la porta cigola e ne esce solo un braccio. Intravedo cicatrici e costellazioni di buchi marci, non ancora rimarginati. La versione meno romantica di un cielo notturno. Protende due dita, consapevole di incontrare le mie. Afferro ciò che tiene stretto, poi ritorna dietro il mistero della porta cigolante.

Mi volto. Una donna, poco lontana, mi fissa. Ha un’espressione mista tra terrore e disgusto per ciò che ha appena visto. tira per un braccio la bambina piagnucolante attaccata alla sua gonna e si allontana.

Non si preoccupi. Il drogatodimerda ora se ne va.

Digrigno i denti, la nausea è sempre più forte. Lentamente, tremando, apro il pezzo di carta che mi è stato appena passato. Sgrano gli occhi, sorrido, sbavo. L’informazione che stavo cercando, finalmente, era lì. Richiudo con cura e infilo il foglietto nella tasca dei jeans.

Il sollievo distorce gli angoli della bocca in un sorriso. Mi ero quasi dimenticato di saperlo fare.

Ora, il desiderio pulsa da dentro. Ancora non è arrivato a farmi impazzire, ma è vicino. Lo sento in tutto il corpo, come se volesse farmi esplodere. Mi perseguita nell’ombra, senza avere fretta: ha tutto il tempo del mondo e sa già quando arrivo a cedere.

Deve. Questa volta deve permettermi di dare un taglio alla fame. La lucidità mi sta abbandonando, se pensa che riesca a fare il galoppino in queste condizioni, si sbaglia. Non posso dirlo, lo penso e basta.

Ma so che lui non è stupido. Traccia confini di sopportazione ingigantiti oltre l’inverosimile, ma superati quelli sa cosa serve per soddisfare. Poi ricrea i paletti e tutto si azzera, di nuovo. Il lasso di tempo è sempre più lungo. Lui dice che non è vero, ma il mio corpo lo sente.

Il bisogno è impellente, non posso più aspettare.

Ogni volta è come l’agonia prima della morte. Ma è solo agonia, insopportabile. La morte non sopraggiunge.

La Morte ha l’aspetto orrido del cadavere ambulante da cui dipendo.

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Tiziana Valentino

Gruppo letterario Camarilla Italia

www.camarillaitalia.com