Diari di game design – Andrea Atzori

Bentornati sulle pagine di questo blog, per una nuova puntata dei diari del game designer. Di cosa si tratta? Principalmente di una lunga chiacchierata con un autore di giochi di ruolo per mettere a nudo i processi e le idee che portano una semplice idea a divenire un gioco fatto, finito e pubblicato.

Questa rubrica ha un obiettivo principale: dare risalto ai tantissimi autori che abbiamo in Italia e che, ognuno a suo modo, contribuiscono a mantenere il mercato del gioco di ruolo vitale e in continuo sviluppo.

In questi diari troverete idee e teorie, ma principalmente discorsi concreti: e tramite le parole dell’autore stesso, capiremo cosa spinge alla creazione di un gioco, quali processi creativi, e sopratutto, il personale modo che ognuno avrà di intendere il game design. Un’attività impegnativa ma anche divertente.

Oggi ho il piacere di ospitare Andrea Atzori, autore affermato di svariati libri e ora anche game designer di Multiverse Ballad, nuova ambientazione per Fate sistema base in uscita a Lucca Comics&Games 2017!

Andrea: salve a tutti e grazie per l’invito. Che dire, sono nato nell’orwelliano 1984 sull’Isola di Sardegna, vivo all’estero ormai da anni e da 5 sto in pianta stabile in Germania, nella Foresta Nera. Sono laureato in Storia e ho conseguito un master in editoria a Oxford, al politecnico, e da allora – tra editing, traduzioni e progetti originali – ho fatto dell’editoria il mio lavoro. Nella scrittura ho iniziato come giornalista di viaggio, e dal 2012 mi sono accostato alla narrativa fantastica, arrivando sino al caro mondo dei giochi.

Nel campo dei Gdr ho iniziato come tantissimi altri: come master di D&D scatola rossa. La mia non era però né una scatola né tantomeno era rossa. Era una copia di contrabbando, di quelle fotocopiate male, passate segretamente di mano in mano come artefatti leggendari, il cui fascino arcano ho utilizzato contro un gruppo di poveri incauti amici, trascinandoli in cantina per rovinare definitivamente il loro futuro da lì a X anni a venire. Seguì Advanced da giocatore, poi la terza edizione e la 3.5, ma devo dire che i giochi che più hanno influito sul mio gusto per i manuali sono i prodotti White Wolf, specialmente Secoli bui e Werewolf; di essi, sebbene sia critico verso il sistema, ho amato il modo di declinare le ambientazioni e creare il “mood” stesso del manuale. Come sistemi invece fui uno zelante di Cyberpunk 2020 che, pur perfettibile, arrivando da D&D trovai velocissimo, immediato e dannatamente divertente. Insomma, una passione per il d10. Questo per citare le basi.

Negli anni di viaggio ho seguito le novità più da lettore onnivoro che da giocatore, senza però mai smettere di lavorare a bozze di sistemi e giochi originali. Essendo la narrativa il mio lavoro, dedicarmi all’architettura delle ambientazioni e alla loro estetica è sicuramente la parte che prediligo del game-design. Ma non nego che a volte è proprio la sfida logica dell’armonizzare le meccaniche e risolvere i bug che più mi tiene attaccato ai progetti. Sono una persona precisa e il game-design mi tenta spudoratamente su questo aspetto, tentazione che accetto di buon grado (e guadagno un Punto Fato). A tal proposito, FATE è sicuramente uno dei titoli “recenti” che più mi ha impressionato, perché la gestione della narrazione che mette a sistema travalica nella pura drammaturgia; un autentico strumento di sceneggiatura, con pochi eguali.

Il tuo percorso parte dalla narrativa. C’è un filo conduttore tra tutte le tue opere e i giochi che hai scritto?

Andrea: nella narrativa del fantastico ho pubblicato Iskìda della Terra di Nurak, trilogia fantasy che ha avuto recentemente anche un interessamento cinematografico importante; lo Sword&Sorcery SRDN – Dal bronzo e dalla tenebra e ovviamente Multiverse Ballad, il romanzo da cui è ispirato il mio recente manuale per FATE. Come ripeto spesso, Multiverse Ballad è in realtà il nucleo concettuale di tutta la mia produzione fantastica. MB è una cosmogonia e, all’interno di essa, come raggi di una ruota o infiniti riflessi in uno specchio, trovano spazio e forma tutti i mondi possibili, perciò tutti i generi possibili. Con MB il Multiverso, reale speculazione della fisica dei quanti, viene applicato all’immaginazione umana. Ogni umano, tramite la fantasia, è un creatore di mondi; e questi mondi sono tutti materialmente esistenti, là fuori da qualche parte. L’ordine del cosmo, così come quello di ogni singolo universo, è dato dal fatto che tutte le realtà rimangono separate e in armonia. MB è la grande storia di cosa succederebbe se questi confini cedessero. Non è un’idea originale; ha echi platonici, è presente in Michael Ende, Lewis Carroll, King, Pullman, tantissimi altri autori, ma questo non la svilisce, tutt’altro: ne conferma e legittima la valenza concettuale. Lo stesso romanzo nacque dal materiale accumulato dopo anni di sessioni di gioco, quindi il fatto che ora sia finalmente diventato un manuale è un po’ un ritorno alle origini.

La tua impressione sul mercato del gdr italiano? E su quello internazionale?

Andrea: credo che il mercato del GdR, nel suo essere una nicchia, dimostri una resilienza e una vivacità che altri campi dell’editoria letteralmente si sognano. Questo si evince anche nel mercato italiano, di riflesso chiaramente più circoscritto e dai numeri più bassi rispetto a quello per esempio in lingua inglese; il livello di passione e partecipazione di chi vi gravita attorno è però tale da creare vere e proprie eccellenze, sia a livello di community che di qualità delle pubblicazioni, che a mio parere è in costante crescita. È un settore in positivo, un circolo virtuoso, ed è un piacere seguirlo. Vedo soltanto un rischio potenziale, che è quello che la sovrapproduzione si trasformi de facto in invisibilità dei prodotti, sommersi dai loro pari; un po’ come è successo negli ultimi anni con la narrativa. Mi piace pensare però che nel Gdr questo non accadrà, forse proprio grazie al motore di puro entusiasmo che lo anima, teso per sua natura a diventare un’attività sociale e aggregativa attorno a un tavolo.

Cosa consiglieresti a chi si approccia al game design?

Andrea: in primis, ovviamente, di leggere e di giocare quanto più possibile. Ma soprattutto di non isolarsi. Cercare sempre confronto e feedback, mettendosi in discussione. Ciò non vuol dire tradire la propria idea, semmai renderle giustizia. Un gioco, ancor più che un romanzo, può raggiungere l’eccellenza qualitativa soltanto se più occhi e più menti contribuiscono al suo perfezionamento. Se la scintilla creativa è solitaria, la sua trasposizione non potrà mai esserlo del tutto, e bisogna fare di questo dato di fatto una marcia in più.

Come è strutturato il tuo processo creativo? Segui dei passaggi o vai di getto nella stesura del manuale?

Andrea: solitamente il processo creativo nasce da una bozza di ambientazione e da appunti presi in libertà. Questi sono scritti sicuramente di getto. Dal momento in cui si passa però alla prima stesura del manuale in sé, la scrittura è metodica e approfondisce punti fermi stabiliti e ragionati in precedenza. Lavorare con una outline è a mio avviso imprescindibile per tenere sotto controllo l’enorme complessità di contenuti correlati gli uni agli altri che un manuale di gioco di ruolo mira a offrire in maniera armonica al lettore.

Cosa ne pensi del world building? È nelle tue corde o preferisci scrivere regolamenti e basta?

 Andrea: scrivo narrativa; il world-building è il mio mestiere.

Ecco, questa frase alla 007 era solo per dire che il fascino creativo del world-bulding, la generazione quasi spontanea di un mondo immaginario con la sua storia, cultura, i suoi territori, le sue genti, usi e costumi, leggende e suggestioni, è di sicuro ciò che mi porta a imbarcarmi nella stesura di un gioco. Quando però il processo creativo è avviato, ripeto, non disdegno le sfide logiche e le interminabili ore passate a far tornare meccaniche che non tornano. C’è chi fa i cruciverba, chi gioca a Ruzzle; io risolvo bug.

Cosa manca secondo nel mercato attuale del Gdr?

Andrea: Il mercato del Gdr ha ormai esplorato l’esplorabile, tanto da aver da tempo preso la strada della “aemulatio” latina, ovvero una continua reinterpretazione di generi già noti, declinati ogni volta in modi e con sistemi differenti. Più che le sterili diatribe tra vecchia scuola e nuove correnti (perché per fortuna alla fine ognuno gioca come gli pare), sarebbe interessante vedere qualcosa di nuovo da un punto di vista veramente strutturale. E qui condivido il pensiero del collega Mauro Longo nell’auspicarmi che si abbiano presto validi titoli indirizzati ai più piccoli, per creare la cultura del gioco di interpretazione sin dai primi anni di età, quasi come metodo pedagogico. Certo, le difficoltà che Gdr del genere pongono al game-design sono grandi, ma non insuperabili. Sicuramente, avere in famiglia strumenti di questo tipo renderebbe felici tantissimi giocatori-genitori.

Esistono temi che non porteresti mai in un tuo gioco e temi che invece reputi fondamentali?

Andrea: Il tema fondamentale a mio avviso è, e sempre sarà, l’esplorazione. Che essa sia fisica e in movimento per ambienti sconosciuti, o simbolica verso mete conoscitive o risvolti emotivi, essa è ciò che più aiuta un giocatore a immedesimarsi con le sorti del personaggio che ha deciso di interpretare. Più nel dettaglio, mi trovo a mio agio sia con i giochi leggeri e scanzonati, dove l’azione è rocambolesca e invita alle risate, sia con i giochi dai toni più cupi e drammatici, in cui molto mi ritrovo, sempre che non siano privi di epica. L’intimismo fine a sé lo capisco meno e sino a un certo punto. Comprendo e apprezzo ancora Kult, per esempio. Ma oltre un certo livello di introspezione e morbosità credo che un gioco non dovrebbe spingersi. O almeno io, da game-designer, non lo farei.

Quando progetti la struttura di un gioco quanto la vedi manipolabile dal gruppo che poi giocherà?

Andrea: credo che le regole esistano per una ragione. La libertà, senza linee guida, è caos. E se un game-designer ha optato, dopo anni di lavoro e playtest, per certe scelte logiche, lo ha fatto perché erano funzionali all’esperienza di gioco. Questo non vuol dire che le regole siano Tavole della Legge; in fondo, creare le proprie house-rules è la cosa più frequente e divertente, e ci mancherebbe altro. Parlo proprio di quei giochi che vorrebbero far passare per virtù libertaria una oggettiva mancanza di struttura. Non fanno per me. Ancor più, credo che siano irrispettosi verso i giocatori. Stiamo parlando infatti di giochi di ruolo, non da tavolo, e in essi l’interpretazione ha un ruolo fondamentale. Non siamo però tutti bravi allo stesso modo nell’interpretare; manteniamo però tutti l’eguale diritto a giocare divertendoci. Gusto? Ecco, un gioco che non offre una struttura ordinata e precisa a cui appigliarsi, sbilancia l’esperienza ludica verso l’eccellenza delle singole personalità al tavolo, corrodendo quella che dovrebbe essere la matrice paritaria di un’attività ludica basata sull’immaginazione. Per i gruppi affiatati, il problema non si pone. Ma per gruppi più insicuri, se ne deduce che se al tavolo le personalità forti sono protagoniste, troppo piene di sé e in maniera totalizzante, quelle più deboli ne verranno schiacciate, senza che il gioco offra loro dei parametri oggettivi da impugnare per tornare in carreggiata e permettere che il divertimento torni sovrano al tavolo, anziché l’imbarazzo. Mi è capitato. Ho osservato bene la scena ed è stata un’esperienza che mi ha segnato. Il mio obiettivo da game-designer – personalissimo, eh, a ognuno il proprio modo di giocare – è che i miei giochi, quali che siano, non presentino mai una mancanza del genere.

Se dovessi scegliere un sistema in commercio su cui adattare il tuo prossimo progetto quale sceglieresti? Qualche idea per progetti futuri?

Andrea: Il game-design è per me un cammino parallelo a quello della narrativa, e dividere il tempo tra i due è la mia sfida attuale. Sarebbe bello continuare a scrivere per FATE, perché offre davvero enormi possibilità. Ma non nego che vorrei sperimentare anche la scrittura per Savage Worlds. Per il resto, il mio obiettivo rimane quello dell’affiancare al world-building originale anche sistemi originali, perché in fondo è quello che più mi piace fare. Tempo al tempo, con pazienza e, soprattutto, divertendosi.

Se sei curioso di scoprire di più sulle produzioni di Andrea, nel suo sito web troverai tutti i suoi progetti www.andrea-atzori.com

A Lucca Comics&Games 2017 uscirà il suo primo progetto gdr:

Multiverse Ballad