Il Pianto di Caino – Parte 4

Ritorniamo a seguire le vicende del giornalista Patrick Swann dopo la pausa estiva! Lo avevamo lasciato alle prese con un misterioso invito al museo che, passo dopo passo, sta trascinando il nostro protagonista in un vortice di dolorosi ricordi e mostri impossibili.
Dopo tanti misteri, oggi il nostro protagonista inizierà a comprendere qualcosa di ciò che gli sta accadendo… in vista del gran finale.
Per chi volesse un ripasso più corposo delle puntate precedenti può leggere qui

Rinforzando

Il piano superiore del museo non è per nulla diverso da quello da poco abbandonato: solo oscurità, ragnatele e l’ossessionante melodia del Pianto di Caino. Con la luce dell’unico cellulare rimasto, Allie alterna la sua attenzione tra il corridoio e lo sguardo di Patrick Swann.
Difficile dire quale sia più scuro.

“Non siamo già passati di qui?”

La ragazza si ferma, illuminando la zona intorno a sé. Corridoi indifferenti conducono a porte anonime, molte delle quali ricoperte da spesse coltri di ragnatela.

“Ecco… credo che ci siamo persi”

“Credi?”

“Non… non lo so! Come faccio a orientarmi qui dentro?!”

Patrick rimane in silenzio, gli occhi chiusi. La melodia si insinua sottile nella sua mente, portando con sé l’eco degli ultimi respiri di Yulia Stukov.

“Dammi il cellulare. So io dove dobbiamo andare”

Allie nutre seri dubbi sull’affidabilità di Patrick Swann, ma non ha la forza di opporglisi. Per lui, lei è sempre stata la silenziosa ombra che anticipa il lampo di luce, la consacrazione della verità.
In cuor suo, la ragazza spera che sarà così anche questa volta.
E forse, per la prima volta, in quel mondo abbandonato a sé stesso qualcuno ha udito quel desiderio.

“Ehi! Ehi, voi!”

I due si fermano all’improvviso. La voce è poco più di un sussurro, ma il corridoio è deserto. A meno che…

“Quassù! In alto!”

Da un angusto accesso al condotto di areazione sul soffitto, il volto di uomo segnato più da profonde occhiaie che dall’avanzare dell’età ricambia lo sguardo sbigottito dei due visitatori inattesi.

“Pensavo fossero tutti morti”

“E sarà così, se non vi sbrigate! Recuperate qualche mobile per issarvi quassù, è l’unico posto sicuro da Bethany!”

“Bethany?”

“Muovetevi!”

La ricerca impiega poco tempo e molto sforzo, ma alla fine prima Allie e poi Patrick si ritrovano nel claustrofobico condotto di areazione dello Yorkshire Museum, dove perfino la luce sembra faticare a trovare il proprio posto tra le fredde lamiere.
Con Allie dietro di sé, Patrick può finalmente osservare gli indumenti del loro presunto salvatore: la divisa da custode del museo, sporca e lacerata in più punti, lo stesso che potrebbe dirsi del volto di chi porta quegli abiti.

“Un rifugio ingegnoso. Lei si è rintanato qui quando è iniziato tutto, vero?”

Il custode annuisce lentamente, prima che le parole trovino a fatica la loro strada.

“Io lo avevo detto che non poteva venire nulla di buono da quel carillon. Sembrava quasi un errore, arrivato qui senza documenti di trasporto e senza alcun preavviso. Ma appena abbiamo aperto la scatola, ha iniziato a suonare… e suona, e suona… li ha chiamati lui, ne sono sicuro”

In quel luogo ogni movimento è uno sforzo indicibile, ma Patrick stringe la mano del custode. Il confine tra lucidità e follia è del tutto sbiadito quella notte, ed il giornalista ha davanti a sé l’unico testimone rimasto di quell’assurdo incubo.

“Mi racconti tutto”

C’è fermezza nella voce di Patrick Swann, quel tono che gli ha permesso di ottenere dalle persone più improbabili i loro più reconditi segreti. Ed in una notte in cui tutto sembra scivolare verso l’impossibile, qualsiasi cosa appaia salda e certa è ben gradita.

“Il carillon… non aveva documenti, no… solo il nome. Il Pianto di Caino. E la datazione, risaliva a… ben prima dell’Antico Egitto, credo, ma… non corrispondeva, no. Ingranaggi, melodia… troppo recenti, troppo… mai visto qualcosa del genere, disse il direttore. E’ uno in gamba, lui. Lo prese con sé, voleva studiarlo. La musica non è mai cessata, nossignore. Il direttore ne divenne ossessionato: non usciva più dall’ufficio, non tornava più a casa… credo non mangiasse nemmeno. Quando tentammo di portarglielo via… per il suo bene, dovete capire… lui ci urlò contro e minacciò di licenziarci tutti.
Poi, questa notte, è arrivata Bethany”

“Chi sarebbe questa Bethany?”

“Il mostro che ha ucciso i miei colleghi. Il ragno che piange.
Mia moglie”

Il silenzio cade pesante nel condotto metallico. Patrick rivolge un fugace sguardo ad Allie, temendo per un istante di avere sottovalutato la follia di quell’uomo.
Ma di certo non può fuggire da quel luogo ormai, tanto vale assecondarlo.

“Sua moglie?”

“Bethany. E’ morta di cancro tre anni fa. Avrei potuto usare i nostri ultimi risparmi per cercare di curarla, ma… buttai tutto al gioco.

Ed ora è tornata a tormentarmi. L’ho vista nel pungiglione di quel mostro, sapete? E’ così che va a caccia, è così che sono morti i miei colleghi… Bethany si finge qualcuno che le sue vittime conoscono bene, sembra quasi che li ipnotizzi… e poi, quando sono incapaci di muoversi, li… li…”

Patrick richiude gli occhi, non riuscendo comunque a scacciare dalla mente gli ultimi istanti di vita di Yulia. Come quell’uomo, e come tanti prima di lui, anche lei doveva essere stata ingannata da quell’orribile inganno.
Ma perché? Cosa aveva potuto creare un simile abominio?
Solo un uomo avrebbe potuto conoscere la risposta.

“Mi dica, mister… questo condotto di areazione arriva all’ufficio del direttore?”

Crescendo

A fatica, inizia un lungo pellegrinaggio nel condotto di areazione. Lento e pietoso, mentre il Pianto di Caino canta della sua amara solitudine. Le note si imprimono sempre più a fondo nella mente di Patrick, ricordandogli ciò che è stato perduto.
Poi, l’immutata tenebra viene finalmente spezzata da una fredda luce al neon: essa filtra da una grata, abbastanza sottile da poter essere sollevata senza difficoltà dal custode.
Sotto di loro, uno studio. Le pareti sono praticamente invisibili, tanto ampi ed alti sono gli scaffali pieni dei più disparati volumi. Numeri, lettere e temi sono ordinati con la massima perfezione.
Solo ora il custode torna a guardare Patrick. Rimane immobile alcuni istanti, per dare ancora maggior peso alla sacralità del gesto che sta per compiere, poi gli allunga la sua pistola.

“Fate ciò che deve essere fatto”

Patrick non si oppone. Non sa ciò che dovrà fare, ma sa bene ciò che vuole fare.
Dietro di lui, una voce femminile dà voce all’ultimo appiglio di coscienza rimasto in quel museo.

“E voi? Non vorrete rimanere qui, vero?”

Il custode china il capo alla domanda di Allie, poi torna a ritrarsi nelle tenebre.

“Fermo!”

La mano di Patrick si posa sulla spalla di Allie.

“Lascialo. Dopo ciò che abbiamo visto, non potremo più tornare indietro.
Quell’uomo ha solamente avuto il coraggio di comprenderlo subito, e accettarne le conseguenze”

“E noi?”

Patrick osserva la grata del condotto aperta. Con un rumore secco, la sicura della pistola viene tolta.

“Noi dobbiamo portare a termine il nostro lavoro”

Quando atterra sul pavimento, Patrick si guarda immediatamente intorno. Da un lato, la porta dell’ufficio è chiusa. Le due finestre sono rigorosamente chiuse. Se anche atteso, il loro arrivo non è stato certo reso semplice.
Poi, lo sguardo del giornalista si posa su una scrivania sgombra, ad eccezione di un singolo oggetto che vi è posato.
Un carillon.
Un oggetto piccolo, semplice. L’avorio è levigato ad arte, così come le parti in legno che ne formano il contenitore. Gli ingranaggi si muovono con divina lentezza, un’orchestra condannata alla stessa, funesta melodia per l’eternità.
Con passo lento, l’uomo gli si avvicina. La sua mente percepisce vagamente la voce di Allie, ma l’ossessione per quel carillon sovrasta ogni altro pensiero cosciente. La sua mano, tremante, si allunga, ed ora lo stringe tra le mani. Patrick vorrebbe stringerlo molto più forte, fino ad infrangerlo, a cancellarlo dalla mente e dall’incubo, per potersi finalmente svegliare e ricominciare l’amara vita che ha sempre vissuto.
Ma non riesce. Si odia per questo, ma l’unico sentimento che riesce a provare per quel carillon è la pietà.

“Meraviglioso, non è vero?”

La voce maschile spezza la malia di Patrick, ed in un istante la pistola è puntata contro il volto dell’uomo seduto alla poltrona della scrivania.
Due occhi di un blu profondo come il mare di notte, incorniciati da lunghi capelli neri, rimangono a fissare quel gesto di minaccia. Ma le labbra non si increspano minimamente.

“Non è a me che dovrebbe puntare quella pistola”

Ma poiché l’arma non viene abbassata, l’uomo sospira e si alza lentamente. E’ vestito con impeccabile eleganza, ma rigorosamente in nero. C’è una strana consapevolezza nello sguardo che viene rivolto a Patrick, come di un uomo che abbia già vissuto un sogno e sappia come andranno gli eventi.

“Lei è qui per il carillon. Tutti cercano di arrivare qui per il carillon e per questo ho dovuto adottare alcune… misure necessarie”

“Lei è il direttore del museo, vero? Sapeva del mio arrivo?”

L’uomo sorride. Un sorriso diabolico, ma indubbiamente elegante.

“Sì. Sono stato informato del suo arrivo da Mister Rizzo. Mi era stato assicurato che sarebbero state adottate alcune… precauzioni affinchè lei riuscisse a superare indenne gli effetti del carillon. Sono felice di constatare che Rizzo sia uomo di parola”

La voce di Patrick si incrina, i fantasmi delle sue ossessioni posano le loro mani sul grilletto della pistola.

“Di cosa sta parlando?”

“Oh, suvvia. Lei è un professionista, e sono certo che si sia già posto molte domande mentre arrivava qui.
Come ha fatto Allie a giungere al museo così velocemente? Come faceva a conoscere la strada per le fogne? E soprattutto, come ha aperto la porta che conduceva al magazzino?
La risposta è semplice, Mister Swann… perché così è stata istruita da Andrea Rizzo”

Patrick si volta. Allie lo guarda sconvolta, gli occhi ricolmi di lacrime.

“No, non è andata così! La prego, deve credermi!”

La pistola si posa sulla ragazza. Allie inizia a piangere, mentre la voce di Patrick è gelida.

“Io vorrei crederti, Allie. Dio solo sa quanto.
Ma l’ho fatto fino ad ora… e guarda cosa rimane di me.
Perché dovrei continuare a farlo?”

Gli occhi della ragazza corrono all’altro uomo, che osserva la scena con un’espressione di paziente attesa. Nessuna sorpresa, nessuna preoccupazione per lei.
Nessun sentimento alberga in quell’uomo. Ed Allie ha deciso che non morirà per un mostro.

“Perchè lui non è il direttore del museo!
E’ Andrea Rizzo!”

Luca Tirelli
Gruppo letterario Camarilla Italia