GRV spiegato a mia nonna | Calare la scure con garbo

Ho iniziato a fare il Narratore per il mio gruppo di amici. Eravamo tutti nuovi della faccenda, in più di loro avevo soltanto un bruciante desiderio di iniziare a giocare, di dar vita alle storie sino a quel momento relegate nella mia testa. Come ha già molte volte ribadito, il gioco di ruolo esiste nel rapporto fra i giocatori, un’idea è valida nella misura in cui fa divertire tutti quelli che contribuiscono a renderla reale. È un gioco, per molti rappresenta il massimo momento ludico, un’occasione per rilassarsi a trascorrere assieme del tempo di qualità. Inevitabilmente, complice anche il fatto di interagire con i miei più cari amici, la ricerca di compromesso era costante e per molto tempo sono andato avanti con il pensiero “è un gioco, bisogna divertirsi.”

Vero, con un però. In molte occasioni la ricerca del compromesso, lo realizzo ora a distanza di più anni di quanto vorrei ammettere, era a senso unico, da me verso loro. Questo accadeva in fase organizzativa, quando si discutevano assieme le basi dell’ambientazione e della cronaca. Questo accadeva anche durante le sessioni, quando le pretese horror di una storia a sfondo horror dovevano fare i conti con momenti sempre più frequenti d’ilarità, uscite fuori luogo ed un clima decisamente scanzonato. Questo accadeva anche alla fine, quando bisognava tirare le somme e distribuire le ricompense ed i punti erano sempre troppo pochi, per cui una “mancia” diventava doverosa.

Sono stato per molto tempo non un Master buono, ma un Master permissivo. Ho viziato i miei Giocatori, rendendoli indolenti, abituati a plasmare il Mondo a propria immagine piuttosto che adattarsi alle sue necessità. Come ho già detto molte volte, raramente mi sono trovato all’altro capo del tavolo, le mie esperienze da PG sono state poche e, per la maggior parte, piuttosto dolorose.

Ho trovato negli altri Narratori una situazione diametralmente opposta. Vi era un’ambientazione, da rispettare con religiosa fedeltà, entro la quale non c’era spazio per nessuna devianza. Le sessioni avevano un inizio ed una fine scandite con precisione militare, al cui interno era imperativo rimanere aderenti al gioco senza concedersi neppure un momento d’ilarità. Le trame procedevano come era stato previsto, la maggior parte delle azioni considerate poco appropriate era ripresa con inviti più o meno cordiali ad interrompere il comportamento incriminato.

Scelte operative del genere hanno una limitata conseguenza entro le quattro mura della propria casa, possono rovinare in un modo o nell’altro la serata a qualche persona, ma quando ci si trova a dover reggere il banco per centinaia di soci diviene necessario tenere da conto ogni singola interazione.

Vi sono momenti in cui la scure deve calare. È un gioco, certo, e deve divertire, ma perché questo avvenga determinati parametri devono essere rispettati. Nel calcio la palla deve essere colpita con i miei, cercando di andare a rete. A qualcuno può venir voglia di portarla in giro con le mani, ad altri di girare per il campo senza concludere nulla. Per loro è divertente, questo è certo, ma può risultare spiacevole per chi ha cominciato a giocare aspettandosi il rispetto di determinate caratteristiche.

Essere sistematicamente poco attenti, buttare tutto sul ridere, ignorare elementi dell’ambientazione a favore di una determinata resa del proprio personaggio, questo genere di comportamenti finisce per ledere l’esperienza di tutte le parti coinvolte ed impedisce una realizzazione efficace del progetto narrativo messo in campo. Sono situazioni che devono tassativamente essere fermate suo nascere, a maggior ragione se reiterate.

Però, perché sempre un però, il gioco rimane un gioco. Non è il lavoro, non è la vita famigliare, non è la scuola. Nessuno va alla ricerca di un sistema incatenato entro regole ferree a cui seguono severe punizioni. Non quando vuole giocare, non quando vuole divertirsi. Allora come fare?

Occorre anzi tutto avere ben chiaro cosa della situazione in oggetto merita una correzione. È fondamentale, per formulare l’intervento e cercare da farlo arrivare esattamente dove occorre che arrivi. Deve essere una critica fondata e circoscritta, chirurgica quasi. Deve rivolgersi a quello specifico aspetto, non alla persona.

Bisogna poi modulare il tipo d’intervento. Il tono ed il tenore, la durezza per certi versi, in virtù di chi deve ricevere la correzione. In minima parte questo è dovuto al tacito accordo fra esseri umani impegnati in un’attività di tipo ludico dove il divertimento dev’essere al primo posto, ma serve soprattutto a rendere efficace l’intervento. È disutile andare col carico da novanta contro qualcuno che all’aggressività reagisce chiudendosi a riccio. Allo stesso modo è poco funzionale riempire di fronzoli ed addolcire con il miele una critica mossa ad una persona sicura di sé ed immobile nelle proprie posizioni.

Riuscire ad evidenziare il problema con chiarezza permette di renderlo comprensibile a chi deve correggerlo, porlo dalla giusta angolazione assicura una giusta interpretazione dello stesso ed una giusta motivazione nel lavorarci sopra.

È un’arte difficile, con possibili declinazioni in qualsiasi ambito della vita, che se padroneggiata permette di essere efficaci senza rischiare di risultare né permissivi né intransigenti.

Questo segna la fine dell’articolo. Come sempre, se desiderate che venga trattato un argomento particolare o avete delle domande, sentitevi liberi d’inserirle nei commenti ed io cercherò di venirvi incontro al meglio delle mie (relative) capacità.

Per ora l’augurio di una Lunga Notte e, sino al nostro prossimo incontro, complottate con giudizio!


Edoardo Bressan
AVST Bologna
Observer Invictus
Gruppo Letterario Camarilla Italia
www.camarillaitalia.it